Nel precedente scritto ho tralasciato l’essenziale. La società che chiamo leviatanica (=fondata non più sull’Io/Tu, ma sul Noi/Voi) esalta ovviamente la tendenza al conformismo. Il quale è una varietà del funzionamento cerebrale ch’è diventata il problema n.1 del nostro tempo. Cantare in coro – in un’epoca senza poesia e quindi senza melodie! È interessante, in …continua
Avrò avuto vent’anni o poco più. Non ricordo. Spagna. Lloret de Mar. Oltre a spiagge, discoteche e un amore giovanile, ad un tiro di schioppo c’era Barcellona. Che per me significava il Montjuic, Mirò, una provvisoria di Dalì in attesa di venir definitivamente trasferita a Figueres e, ancora, il barocchismo gotico e surrealista di Gaudì. E poi, Picasso.
In Carrer Montcada acquistai, dopo una visita stupefacente, una stampa al botteghino dei souvenir. Non del periodo blu, nemmeno una delle sue opere più famose, ma quello che mi sembrava un duro esercizio d’epoca cubista: “Le Torero“. 1912.
Tornato nella mia Trieste lo incorniciai e lo appesi sulla parete ai piedi del mio letto. Non aveva senso. All’epoca leggevo molto, e nei momenti di pausa sollevavo lo sguardo e questo cadeva inevitabilmente su quella stampa di Picasso, rimanendo incognita, indecifrabile. Divenne distratta parte dell’arredamento della stanza. Una macchia di colore disordinata appesa al muro.
Passò del tempo, molto tempo, ma una mattina presto la luce filtrò con veemenza attraverso la finestra che avevo dimenticato di chiudere, svegliandomi. Sollevai lo sguardo e lo vidi: “Le Torero” era lì, con le sue picche, il suo copricapo, nel culmine del suo rito tauromachico. Fu, per me, un giorno memorabile: compresi. …continua