UNA PATRIA, OPPURE NULLA

Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra, c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti. Ma non è facile starci tranquillo.Cesare Pavese

La Rossana sparirà come tante altre strabilianti cose della nostra infanzia; la croccante dolcezza, il ripieno cremoso, il rosso brillante dell’involucro graziosamente rinchiuso ai due lati; ne erano piene le borsette di tutte le signore e i signori anziani della mie età. Una carezza zuccherata da dispensare ai pargoli, quando ancora si potevano carezzare senza tema di essere sbattuti in cronaca come pedofili. Si compravano le caramelle, anche sfuse, nei boccaccioni di vetro degli empori, quando le città somigliavano ai paeselli, e non si compravano i bambini.

Lentamente si sgretola lo stivale. Disarcionarono l’ultimo arciitaliano: non era un abile politico, non un grande condottiero, era uno così, avanspettacolo e zie monache con quel vizio imperdonabile di voler preservare, sebbene un po’ sfatta dai tempi moderni, l’anima italiana. Se poi pensate, che per questo, lo hanno seppellito sotto il pubblico ludibrio di massa, e s’è fatta pure la galera domiciliare, in questi frangenti qui può pure essere iscritto nella lista degli eroi. Lui che eroe non è. Dopo non si è capito più nulla. Al grido: “Europa! Europa!”, certi figuri sbucati dal nulla ci hanno espropriati di tutto. Si vocifera che pian piano ci toglieranno anche il mare, diventeremo una striscia sbilenca che serve per andare altrove, una volta spiantati i secolari ulivi, tagliato a fette il vento e gli abitatori dell’aria con le pale bugiarde, assassinato l’idioma, la poesia, il focolare e la voglia di sognare.

Un paese ci vuole. Prima di essere una terra, è il luogo immateriale dove per secoli si è costruito – come in un grande presepe – il nostro modo di essere al mondo, uomini, donne, di fondere l’artificio alla natura per darci uno spazio, dei mestieri, delle città. L’Italia, politica, fatta da poco, visse una breve stagione; ma esisteva da gran tempo nella sua essenza nobile di una multiforme e fantasiosa cultura comune. Era la nostra forza.

Adesso andremo in guerra o forse no. Andremo, chi? La Libia fu terra di confine tra essere e non essere, per noi Italiani. Un pasticcio internazionale – complici i soliti noti – ci obbligò ad accodarci a l’insensato intervento che aprì le porte al caos collaborando perfino, con il nostro complice silenzio, alla più efferata esecuzione in diretta tivi mai vista e previa taglia, contro Gheddafi. E adesso si pretende che si finisca l’opera, sbattendoci alla carlona contro un nemico che sta a terra, ovunque, ed è il più forte solo perchè si avvale del caos che abbiamo provocato noi. Dev’essere ancora una volta un disegno nemico per assoggettarci definitivamente: si sa, questo stivale che non abbiamo in gran conto, noi autoctoni, fa gola a tanti, per posizione, qualità e prerogative. Studiassero la storia, questi infingardi passacarte che si pretendono uomini di stato.

Qui non è più questione di avvicinare la gente alla politica, come recita il dibattito aperto dal Corsera dal buon De bortoli, cui subito ha fatto da controcanto la ridicola lezioncina della vispa MariaElena, sempre pronta al volo e asorprendere gentil farfallette per farsi un po’ di pubblicità.

Qui è questione di Patria. E sta a noi, ormai, di scegliere e pagare un prezzo. Possiamo volerla, e allora dobbiamo diventare Italiani sul serio, col cuore e con la testa. Altrimenti meglio nulla, ognuno per sè, Dio per tutti. O Allah, per certuni. La pappa al pomodoro e il profilo di Facebook per fingere di essere, ci sarà sempre per tutti. Se ci basta…

Angela Piscitelli
Zona di frontiera, 7 Marzo 2016


Un commento a “UNA PATRIA, OPPURE NULLA”

  1. franco brezzi says:

    Splendida Signora. Era assurto a tormentone, lo slogan del Suo conterraneo Pappagone, “siamo vincoli o sparpagliati?”, che già allora identificava quest’ Italia.
    In fondo, siam sempre stati sparpagliati. La potenza dei dialetti, dei cibi, delle tradizioni è sempre stata motivo di divisione ed astio. Benito, ci aveva maldestramente provato ad amalgamare, ma il più perfido Marx ha saputo distruggere ogni tentativo di collaggio. Poi, fu il football a definire i frantumi di codesta espressione geografica, completandone la polverizzazione. Oggi, l’unico slogan che potremmo adottare, potrebbe essere (mi si passi il latinorum) “cavialem et circenses”. Ed in più, temo che questi ci toglieranno anche il “Facebook”, altro che Patria.
    Con simpatia, Franco Brezzi – Trieste


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