GENERAZIONI DI MEZZO

Sono generazioni di mezzo, quelle perdute. Avanguardie alcuni cinquantenni, e via via a crescere in numero i quarantenni, fino a divenire sterminata pletora i più giovani e vitali. Schiacciati tra la responsabilità dell’accudire vecchi genitori lamentosi e un futuro assente, senza prole alcuna che si possa, un giorno, occupar di loro. Stabilmente precari nel lavoro, nella vita e negli affetti. Buoni per rapporti di fortuna, scelti come compagni di una notte solo perché di meglio altro non c’è.

Attraversano nei loro sdruciti paltò da bancarella periferie di fabbriche sbarrate, girano in città dai molti negozi chiusi, mentre tanti di quelli ancora aperti vestono insegne bianche, senza nome, spente, con solo poche luci a risparmio energetico ancora accese. Testimonianze del non saper che altro fare. La resistenza per inerzia, per assenza di alternative, in attesa della fine, nell’incredulità di essere in trappola, senza nemmeno aver capito come possa essere accaduto.

Scomparsi i progetti, rimane l’angoscia per l’immediato domani, resistendo oggi perché ieri un po’ si è mangiato. Quello che si guadagna, il poco, quando riesce, viene spazzato via da società monopolistiche sempre più feroci ed impazienti, disposte a tagliare servizi essenziali appena dopo una bolletta non pagata, da tasse inique alle quali non si può sfuggire, da burocrazie bizantine.

Chi ha creduto nell’individualismo, nelle proprie capacità, nella propria voglia di fare, che fossero bastanti abnegazione, testardaggine, sudore e la propria testa per non morire di fame, ora è smarrito, alle corde. Perduto perché non riesce a leggere una società che pensava diversa, che avrebbe voluto altra. Trascina con sgomento il proprio destino, in solitudine.

Cerca di leggere sui volti degli altri la medesima sconfitta, lo stesso stupore di ritrovarsi incredibilmente paralitico, la stessa inutile fatica di non poter fare fatica alcuna, ma non trova nulla. Quelli come lui dissimulano, lo sa, perché anche lui dissimula, finché può, finché regge, fino a quando la rabbia resta più forte della rassegnazione. Popolo di senza speranza, fingendo la speranza non conti nulla, fingendo fosse chimera, invenzione letteraria.

Spesso incontra degli abitanti di altri pianeti, gente che lavora nel pubblico, gente che la crisi la conosce solo dai titoli sui giornali. Quasi tutti legati a partiti, tutti sistemati perché hanno leccato il culo giusto. Tutta gente che la rivoluzione l’hanno fatta a parole, dal ’68 in poi, ma solo per scherzo, ben sapendo che quel posto in Comune o in Regione rappresentava il loro orizzonte. Rivoluzionari con l’ambizione della mediocrità. Anche adesso continuano il gioco ipocrita, piangono i poveri immigrati che giungono sulle nostre coste, non discriminano gli zingari né minoranza alcuna, ma vicino a casa loro non li vogliono e il negro davanti al supermercato lo evitano perché dà fastidio: come si permette di chiedere l’elemosina a loro, proprio a loro che non sono razzisti? La mediocrità e il conformismo al potere. Hanno ammazzato tutto, ogni iniziativa, ogni spirito libero, ogni creatività con la loro pigritudine e con una semplice marca da bollo, chiesta senza nemmeno alzare gli occhi da dietro uno sportello.

Per strada non si può leggere il viso ai giovani dagli sguardi perennemente tuffati nello smartphone, dalle orecchie anestetizzate al mondo dalle cuffie. Isolati, disaggregati, soli nei bit, quindi già sconfitti, inconsapevolmente. Popolo senza ambizione, se non quella di entrare in Comune pure loro, mentre quel Comune dovrebbero bruciarlo. Credono in Grillo, dopo essersi fatti prendere per il culo, per anni, da Di Pietro, convinti di sapere perché leggono Travaglio (non tutto, per carità: costa fatica), guardano Anno Zero e, di nascosto, La Gabbia. Quando hanno un dubbio vanno sul Santo Blog. Come tanti bambini di Hamelin seguono il pifferaio che li sta conducendo al nulla, alle vuote parole, al rispetto delle Regole, della Costituzione. Al ni-ente, al non pensiero. Più fedele ed efficace alleato il Bilderberg non poteva trovare.

Quella Costituzione ci ha condotto qui. Quella Costituzione è quindi da bruciare. Sperando di riuscire, con quel falò, a fare quella poca necessaria luce a comprendere che non il nostro Paese, non l’Europa, non l’Occidente stanno morendo, ma è la Democrazia stessa che ha finito di essere.

Paolo Visnoviz
Zona di frontiera, 7 Marzo 2014


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