AUTUNNO ROSSO

Che eravamo impresentabili, ce lo avevano detto in tutte le salse ed in tutte le lingue, pure in congolese. Ed ora che abbiamo messo il re a nudo, ecco che tutti i conformi, ditino in alto ci segnano come irresponsabili. Bel concetto delle larghe intese, avevano i nostri “sodali”: fare il proprio comodo, dettare la linea, sputarci addosso ed in più spedire in galera – per direttissima – forzando la mano, il nostro leader. Questo governo passerà alla storia come il più inutile ed il più surreale. Ancora una volta il Cav, sant’uomo, si era fatto infinocchiare alla grande: l’economia in mano al solito burocrate merkelofilo, un pesce in barile di crauti succedaneo di Monti, premier ed intorno folkolore puro, di cattivo gusto. La Cancellieri alla giustizia ha brillato per assenza, troppo impegnata a girare il ragù o a occuparsi dei nipotini, mentre si organizzava l’eliminazione del Cav. Governo di killeraggio rosso che più rosso non si può, gragnuola di bugie giornaliere, paese alla deriva, ma tanto, le missioni erano due: mettere la prua ben dritta al servizio dell’Europa (potevano pure nominare Schettino premier) e liberarsi finalmente del nemico scomodo – il diverso -, e con lui, dei suoi dieci milioni di elettori: l’Italia che lavora mentre gli altri mangiano.

Ma il Leone – seppur impallinato, febbricitante, provato, ha reagito. Come nei finali più entusiasmanti il guerriero morente raccoglie le forze e infila la spada nel cuore del cattivo: non riuscirà ad ucciderlo, ma non ne sarà complice.

Tutte le ricostruzioni fantastiche approntate da lestofanti castocrati, castografi e quagliarielli non hanno un briciolo di verità: il Cavaliere sa bene che lo faranno decadere e che andrà in galera (o a i servizi sociali che dir si voglia), quello che però non può accettare, dopo vent’anni di onorato servizio, è che parcheggiato in prigione il vecchietto tonto, gli altri continuino a fare scempio dell’Italia, non rispettando nemmeno uno straccio di patto con il suo avallo.

Abuso dietro abuso, si va verso la regolarizzazione finale dell’Italia. Piccola e media industria polverizzata, la prima casa sottratta, esercizi commerciali d’eccellenza distrutti, e al loro posto indisturbati, i “compro oro”, strozzini e avvoltoi esattamente come le banche. Vietato esprimere opinioni, si può solo abbassare la testa ed obbedire. I complici di questa sistematica razzia, premiati; gli altri ridotti alla miseria. Ecco perchè assistiamo ad un interessante voltafaccia di certi pennaiuoli che cominciano pure loro a dipingere il Cav come un vecchio pazzo e corteggiare le sciacquette che dicono: “non voglio morire fascista”.

Ormai è chiaro: la democrazia, da noi è una presa per i fondelli. Le riforme istituzionali non sono consentite in dittatura, e le dittature – quelle vere – non si rovesciano né con le elezioni, né con i cosiddetti interventi umanitari. Il mondo non è certo progredito dalla seconda guerra mondiale ad oggi, guardatevi intorno tutti: vi accorgerete che hanno bombardato la verità, l’istruzione, la famiglia, la giustizia, l’identità.

Patria. Un sostantivo esiliato dalle nuove sintassi e dai nuovi conquistatori. Neanche genitoria, potrà chiamarsi: né sangue, né terra, né storia, né ricordo. Nell’aereopago della Polis sono entrati quattro uomini d’arte e di cultura che grandi cose potrebbero immaginare per risollevare le sorti del nostro, del loro paese, e invece nessuno di loro ha parlato, anzi, quasi di soppiatto, sepolte bacchetta, matite e formule, si sono accomodati a far numero retribuito nella schiera compatta dei pigiatori di pulsanti a comando.

Intanto, mentre l’Italia muore, c’è chi paga trecentomila euro dei tizi per osservare gli alberi, chi applaude all’okkupazione kulturale di un teatro di Roma, chi assume insegnanti per far clientele, chi si finge scrittore per andar sfasciando carrozze, chi traduce e tradisce e chi tradisce e basta.

La demagogia ha scalzato ogni conoscenza. Il metodo più semplice per squagliare un popolo è renderlo smemorato. Da noi è successo. La storia ha le sue rime, che spesso restano incomprensibili anche dopo mille e mille anni. Le istituzioni e le leggi sono convenzioni, passano. Quello che resta di un tempo è il pensiero -, se pensiero c’è.

Era il marzo 2001 e nessuno se ne ricorda più. I Talebani iconoclasti fecero saltare in aria i due Budda di Bamiyan: il fatto generò appena una blanda e distratta indignazione – rotta soltanto dalle urla di Vittorio Sgarbi -, solita voce nel silenzio.

La dinamite dei “talebani de noartri” è stata l’ideologia, la damnatio memoriae è stata meticolosa, capillare, devastante. Al posto della Patria cantata, scolpita, costruita, un misero simulacro infarcito di retorica velenosa, grottesco ed inutile come un fantoccio di Carnevale.

Da vent’anni emigrante, per vent’anni ho visto cialtroni santificati in tournée permantente effettiva a dir male dell’Italia, ad insozzarne l’immagine, strapagati per farlo. Italiani, da altri italiani: tutti con la minuscola.

No, Presidente, non è con l’età che il suo mondo si dissolve. Si dissolve con l’oblio delle egregie cose del quale era fatto: la famiglia, i monumenti, la lingua, la cultura, la fierezza, il dovere, la dignità, lo spazio, il rispetto, i sogni. Lei ha vissuto abbastanza per vederla, un’Italia, non sarebbe stato meglio difenderla come meritava, invece di votarsi a interessi alieni? Si guardi allo specchio e si domandi: cos’è l’Italia?

Non è, e non può essere terra di prevaricazione e di ingiustizia, di diritti stravolti e finti diritti rivendicati, di governi fantoccio, di inquisitori, di codardi, marionette, di panorami contraffatti e disfatti: un deserto fuori e dentro le coscienze. Cittadella senza presidio d’una identità certa, l’Italia è destinata a sfaldarsi. Mi dica, Lei che taglia nastri ad ogni piè sospinto, che commemora con la voce rotta, ha mai provato a domandare a quello stuolo di tricoteuses in doppiopetto che lo accompagna su questa giostra impazzita, quale è il senso autentico di una qualunque ricorrenza civile?

Questi sono giorni bui, il cicaleccio delle televisioni non copre l’urlo straziante della verità tradita. Non può esserci pacificazione senza conoscenza, ma noi, che “fatti non fummo a viver come bruti”, di conoscenza non ne abbiamo più: siamo addestrati a distruggere, e la colpa è vostra.

Ora va in scena l’ultimo atto della commedia; dopo, il saccheggio sarà una passeggiata, chi non applaude sarà perseguito a norma di legge. C’è chi comincia a dire che abbandonare questo Parlamento è un attentato alla Costituzione, invece pare sia cosa buona e giusta che un ministro della Repubblica dica che la parola “mamma” sia da bandire, ed il Colosseo da smontare…

Italia… Italia. Fu un sogno di pochi, ma tutte le volte che nasce un Italiano va demonizzato e poi ucciso prima che possa rinverdire il sogno, salvo poi proporre alla famiglia un sontuoso funerale di stato con tanto di compianto istituzionale. Che vergogna!

Angela Piscitelli
Zona di frontiera, 1 Ottobre 2013


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