ABOLIRE I SENATORI A VITA

Nel precedente regime erano previsti un Senato ed una Camera dei deputati: il primo era composto interamente da membri nominati senatori a vita dal Re, la Camera era, invece, interamente elettiva.

Nell’attuale regime entrambe le Camere sono elettive, ma è fatta eccezione per alcuni membri del Senato: dispone, infatti, l’art. 59 della Costituzione che a) “È senatore di diritto e a vita, salvo rinunzia, chi è stato Presidente della Repubblica” (primo comma), b) “Il Presidente della Repubblica può nominare senatore a vita cinque cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e sociale” (secondo comma).

Alla Costituente si disse, con riferimento al primo comma, che si trattava di collocare nel Senato personaggi “i quali non solo hanno simboleggiato ma hanno sintetizzato dei periodi politici e che il Presidente della Repubblica è il tipico rappresentante riassuntivo di questa sintesi”; inoltre, l’on. Meuccio Ruini, Presidente della Commissione dei 75 (redattrice del Progetto di Costituzione), osservò che i “Presidenti della Repubblica, per il posto che hanno occupato, non possono discendere alla fine del loro mandato nell’agone elettorale”. La proposta passò senza contrasto alcuno.

Invece si discusse molto sull’opportunità di istituire una categoria di senatori a vita: fra gli altri, l’on. Terracini, contrario alla proposta, osservò che “se vi sono persone le quali, in possesso di requisiti di carattere particolarissimo, rifuggono dalla vita politica, è bene che dalla vita politica siano tenuti fuori perché la loro avversione rappresenta un elemento deteriore”; e aggiunse – cosa più importante – che “la nomina a vita urta contro il principio del rinnovamento del Senato”.

L’on. Alberti spiegò che la ragione pratica della proposta dei senatori a vita di nomina presidenziale consisteva nell’assicurare “ai sommi, ai geni tutelari della Patria, una tribuna che essi non hanno”.

Prima di fare qualche osservazione giuridica e politica nel merito di queste istituzioni senatoriali è bene evidenziarne alcune lacune e cioè: solo per i senatori di diritto sussiste la possibilità di rinunziare alla carica, oppure anche per i senatori di nomina presidenziale? A mio avviso la rinunzia è possibile anche per questi: la mancata esplicita indicazione nel secondo comma dell’art. 59 della possibilità di rinunzia alla nomina fu dovuta ad una mancanza del Comitato di redazione, forse perché la questione non era stata affatto presa in esame dall’Assemblea. Ma non sussiste alcun motivo per imporre la carica a chi non la vuole. La rinunzia può avvenire anche in tempo successivo alla nomina (delle cause sopravvenute d’incompatibilità, tratterò a parte, più avanti).

Puntando ora il riflettore sulle ragioni della istituzione dei senatori a vita di diritto, mi pare che non è da condividere l’opinione di Meuccio Ruini: invero è facile obbiettare che il Presidente della Repubblica quando cessa dal suo ufficio non ha l’età (l’esperienza degli undici presidenti la indica in circa novanta anni) per scendere nell’agone elettorale, né di addossarsi il peso di un incarico vitalizio che certo non è una sinecura. Altro aspetto negativo della istituzione di senatore di diritto è il non distinguere tra chi ha bene operato e chi, invece, sarebbe stato meritevole di impeachment, “per alto tradimento o attentato alla Costituzione”, come stabilisce l’art. 90 della Costituzione. Oltretutto, abolire la categoria dei senatori di diritto sgraverebbero la collettività di un costo economico nient’affatto irrisorio.

Altrettanto priva di fondamento logico e politico è l’istituzione dei senatori a vita. Anche questa non è altro che una beneficenza/onorificenza a persone che, pur essendo effettivamente al di sopra degli altri consociati, tale da dare lustro all’Italia, non hanno bisogno di una “tribuna”, che nulla aggiunge alla loro fama ed al loro prestigio. Ed anche qui potrebbe dirsi del costo ingiustificato che grava sulla collettività. Senza tacere, poi, che i senatori di diritto e quelli di nomina presidenziale potrebbero spostare l’equilibrio politico quale risulta dalle elezioni.

Per questa eccezione alla elettività dei senatori è dato riscontrare un vulnus al principio, affermato fin dall’antica Grecia, secondo il quale chiunque è investito di un potere pubblico è obbligato a risponderne: i senatori non elettivi, sono invece esenti da responsabilità.

Spostando adesso l’attenzione sul tema della incompatibilità – per cause sopravvenute – del senatore a vita, viene in considerazione il caso, patologico sul piano democratico, del senatore a vita Mario Monti, il quale partecipa alla campagna elettorale con un proprio movimento, senza rinunziare allo status di senatore a vita. Situazione diversa dal conferimento dell’incarico a formare il Governo, cosa peraltro discutibile sul piano costituzionale.

Il tema è diventato in questi giorni un problema della politica italiana: Mario Monti si è trasformato, come un Fregoli, in un giocatore politico, essendo “salito” nell’agone elettorale a condurre uno stuolo di postulanti (s’intende di poltrone). Se si riflette sui requisiti previsti dal secondo comma dell’art. 59 della Costituzione che, come detto, prevede la categoria dei senatori a vita per nomina presidenziale, ci si rende subito conto del perché il personaggio che ha illustrato la Patria per altissimi meriti non possa tramutarsi in un politicante di bassa lega politica e, per di più, operante non nell’interesse degli italiani, bensì in quello dei poteri forti finanziari, soprattutto, non italiani.

Mario Monti, infatti, è stato consulente (advisor) internazionale di alcune note agenzie di rating, per le quali la Procura di Trani sta conducendo una indagine a motivo che alcune di esse fornivano internazionalmente informazioni distorte e tendenziose (tipo appunto quella riguardante l’Italia, rappresentata metaforicamente “sull’orlo di un burrone”). Infatti, Monti si vanta di essere il salvatore della nazione, per averle evitato di cadere nel burrone, come ripete, impettito, fino alla noia (e Casini gli fa da megafono fino a far entrare tale opinione, non provata, nell’immaginario collettivo).

Monti, salvatore della Patria? o tutore degli interessi finanziari, nazionali e soprannazionali?

Ma questo è aspetto che avrebbe dovuto essere considerato dal Presidente Napolitano quando ha conferito l’alta carica (ma forse gli è stata imposta da Angela Merkel, proprio per i legami che Monti aveva, ed ha, con ambienti finanziari internazionali e favorevoli alla Germania).

Il tema che si vuole svolgere riguarda, invece, la decadenza da senatore a vita per fatti successivi all’assunzione dell’ufficio.

Alcuni ritengono che Monti, trovandosi in condizioni d’incompatibilità con la qualifica di senatore a vita, dovrebbe dimettersi (campa cavallo! le dimissioni sono quasi desuete in Italia e Monti, quale esperto calcolatore non si sogna di darle); altri, invece, pensano che dovrebbe intervenire Napolitano (come? la Costituzione non lo prevede: il potere del Presidente si esaurisce con la nomina). Egli si è limitato solo a deplorare che Monti sia venuto meno alla promessa, secondo la quale non sarebbe mai sceso (anzi salito) in politica.

A mio avviso – tenuto conto che Monti si sta impegnando nella lotta politica nella elezione per il nuovo Parlamento (al quale lascia un’agenda: una condizione per appoggiare il Governo Bersani?) ed ha posto in essere un comportamento incompatibile con l’ufficio di senatore a vita – deve intervenire il Senato (quello nuovo?) a norma dell’art. 66 della Costituzione, cui compete, appunto, il giudizio in ordine alle cause sopraggiunte di “incompatibilità” dei suoi componenti.

Ora non è in dubbio che un senatore a vita non possa partecipare sia pure in modo anomalo ad una campagna elettorale a favore di una della forze in competizione. La terza disposizione transitoria della Costituzione – non più operante perché riguardava solo la prima composizione del Senato – disponeva che “l’accettazione della candidatura alle elezioni politiche implica la rinuncia al diritto di nomina a senatore”. Cioè: anche la sola accettazione della candidatura comportava la necessaria conseguenza della rinuncia a senatore. La norma non è più in vita appunto perché transitoria, ma, a mio avviso, ne è sopravvissuto il principio della incompatibilità in quanto il prendere parte alla lotta elettorale significa la perdita del necessario crisma dell’imparzialità. Si potrebbe obbiettare che Monti non concorre alla sua elezione a senatore (e come sarebbe possibile essendo assurdo che un senatore a vita miri al seggio di senatore a termine, per una legislatura), ma capeggia un raggruppamento politico (Casini-Fini-Montezemolo), che peraltro agisce – come già detto – non nell’interesse degli italiani sebbene per quello dei poteri forti finanziari anche internazionali. Montezemolo non rappresenta il potere forte Fiat? e dal canto suo Casini non rappresenta l’interesse del suocero Gaetano Caltagirone, eminenza nei poteri forti? solo il modesto Fini si limita a rappresentare la sua modesta famiglia e suo cognato.

Ecco il furbesco escamotage, messo in atto da Monti, per non perdere il beneficio di senatore a vita. Ma la maggioranza degli italiani non si lascerà prendere per i fondelli da uno che è italiano solo per nascita: parla sì forbito, conosce sì l’inglese, veste sì il loden e sembra sì austero, ma è uno affamatore del popolo e promette di continuare a farlo (recidivo). Italiani siete avvertiti.

D’altronde mantenere al Senato un soggetto che ricorre a simili meschini espedienti per non perdere la carica (già generosamente elargitagli) ed allo stesso tempo “salire” in politica, significa, oltretutto, ledere il prestigio della istituzione.

Il caso Monti è anomalo, eticamente non esemplare: non può concorre per un carica che già possiede ed a vita, né per diventare deputato, non potendo appartenere ad entrambe le Camere ed allora ha trovato il modo per aggirare l’ostacolo. Si potrebbe dire che Monti non concorre per una poltrona, non aspira all’elezione di una carica che già possiede, ma il solo fatto di essere leader di un partito o di una aggregazione di partiti costituisce pur sempre un vulnus al principio del senatore a vita super partes. Insomma due Monti: in quanto senatore a vita, ha il crisma della sacralità, al di sopra di ogni sospetto; in quanto uomo di parte, sta dando prova di avere gli stessi vizi dell’uomo politico: menzogna e difetto di bon ton.

Marsilio
Zona di frontiera, 12 Febbraio 2013


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