IL BOTTO – di Paolo Visnoviz

Toh, non ricordavamo la stampa italiana fosse popolata di così tante cassandre dotate del senno di poi. Anzi, pensavamo l’Italia fosse un paese europeista convinto. In questi giorni scopriamo invece che le colpe di tutti i nostri mali sarebbero dovute all’Euro e all’Europa e se non di questi, almeno di feroci speculatori che avrebbero deciso di metterci in ginocchio o della Germania che vorrebbe dominarci tutti. Colpa nostra, mai.

I limiti di questa Europa sono ben noti e, anche da queste pagine, se ne è parlato a lungo: unione monetaria con debiti nazionali però rimasti separati, assenza di una vera politica europea, ecc. Tutto vero, ma ai nostalgici della Lira, a quelli che credono basti ritornar a battere moneta quando serva, vogliamo ricordare gli anni dell’inflazione galoppante – giunta nel 1980 oltre al 21% -, della svalutazione incontrollata e del conseguente proibitivo costo delle materie prime. Un sistema che offre benefici solo in una visione keynesiana, dove economia, produzione e occupazione vengono stimolate da un aumento della spesa pubblica, non dal mercato.

Controvoglia, per necessità di sopravvivenza anche se con dubbia tempestività, sembra che l’Europa abbia deciso di tappare le falle dei Paesi più deboli dell’eurozona, Italia inclusa. La Germania recalcitra e non si può darle torto: a nessuno piace accollarsi i debiti altrui. Ma se con una mano dà, con l’altra indica la via del risanamento, esigendolo in contropartita. Da questo nascono le accuse di commissariamento delle opposizioni al Governo, non ammettendo che piegarsi alla volontà europea sarebbe stato inevitabile per chiunque.

Continuare ad invocare un governo tecnico o di unità nazionale, come fanno Bersani ed altri, come non spiacerebbe neppure a Re Giorgio, è una via d’uscita ipocrita. Si vorrebbero scaricare le responsabilità di scelte impopolari su d’un esecutivo incolore, senza rischiare di pagare il successivo dazio alle urne. Per lo stesso motivo l’attuale compagine governativa è restia a porre in atto quelle riforme di lacrime e sangue ormai improcrastinabili.

Al 31 dicembre 2009 il numero di pensioni erogate in Italia era di quasi 24 milioni, mentre i dipendenti pubblici (dati 2006) ammontavano a circa 3,6 milioni. I lavoratori attivi, invece, al netto dei pubblici occupati, sono poco più di 19 milioni (Istat 2011). Tralasciamo per necessità di semplificazione i pozzi senza fondo della Sanità, delle Istituzioni e una miriade di altri terrorizzanti dati.

La produzione è sotto i tacchi, la recessione non è tecnicamente in atto solo per qualche strano magheggio, la Fiat è ormai migrata in altri lidi, la Marcegaglia predica in Italiano ma pensa in cinese, Bersani & C. credono ai mulini a vento, Jacopo Fo propone gli orti di guerra, l’Eni ha dovuto rinunciare al 50% della produzione di idrocarburi provenienti dal Nord Africa, il Governo parla di riforme – sempre quelle – da vent’anni, e tutto rimane impaludato e immobile mentre il mondo ci crolla addosso.

Ecco, adesso potete liberamente scegliere se fare il botto in lire o in euro.

Paolo Visnoviz, Zona di frontiera (Facebook) – zonadifrontiera.org (Sito Web)
08 agosto 2011


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