La crisi del liberalismo in Italia

Molte volte mi sono chiesto quale sia la ragione che ha impedito nel nostro Paese il radicarsi di una cultura liberale diffusa, non confinata nell’ambito di nicchie elitarie, politicamente ininfluenti e assai spesso platealmente litigiose. I riferimenti culturali, da Benedetto Croce e Luigi Einaudi fino a Gaetano Salvemini, non mancavano e su quell’onda, negli anni del dopoguerra (a partire dal 1949), l’uscita del settimanale il Mondo, diretto da Mario Pannunzio, e il conseguente successo inatteso dei convegni organizzati dagli Amici del Mondo suscitarono l’entusiasmo di intellettuali e di molti giovani che in quel movimento riposero la speranza di sottrarsi alla morsa soffocante di una visione massificata e gerarchizzata della politica, tipica dell’ideologia marxista, a cui si contrapponeva una prospettiva democristiana, definita interclassista, il cui fattore di aggregazione faceva esclusivamente leva su fondamenta di natura confessionale.

A destra, all’interno dell’arco costituzionale, in posizione minoritaria, si collocava il partito liberale italiano (PLI) di Giovanni Malagodi, caratterizzato da una visione oligarchica di politica economica, orientata da una potente Confindustria che riuniva il Gotha dei padri del capitalismo italiano (oltre al presidente Angelo Costa, gli Agnelli, i Falk, i Gualino, i Marinotti, i Pesenti, i Perrone ed altri). Confindustria all’epoca rappresentava una classe imprenditoriale prevalentemente allineata in continuità di pensiero con la visione protezionistica del passato regime fascista, sotto una regia autorevole esercitata da Mediobanca all’insegna del principio: non passi lo straniero. Unica apostasia, peraltro mal tollerata, quella dell’ENI di Enrico Mattei, battitore libero fortunatamente fuori da ogni controllo.

Al movimento degli Amici del Mondo, oltre a Pannunzio, aderirono personalità del livello di Ernesto Rossi, sopravissuto a quasi venti anni consumati tra carcere, confino a Ventotene ed esilio in Svizzera, Arrigo Benedetti, già collaboratore di Pannunzio in Omnibus, il settimanale di Leo Longanesi, e divenuto successivamente (1955) direttore del “L’Espresso”, Bruno Villabruna, già segretario del PLI, uscito dal partito per incompatibilità con Malagodi, Nicolò Carandini, Franco Libonati, Leone Cattani, Leopoldo Piccardi ed Eugenio Scalfari. In posizione più defilata, Altiero Spinelli, preso interamente dal suo sogno federalista europeo ante litteram.

Si trattava di personalità di orientamento politico differenziato che spaziava da posizioni filo liberali/repubblicane (Pannunzio, Carandini, Libonati) a posizioni filo laburiste (Rossi, Piccardi e Scalfari); denominatore comune per tutti l’anticomunismo e l’antifascismo, ma con sfumature differenziate in tema di anticomunismo.

Nel corso degli anni cinquanta furono pubblicate, prevalentemente da Laterza, opere di Ernesto Rossi come Critica del Capitalismo, Padroni del vapore e fascismo, Aria fritta, La lotta contro i monopoli (unitamente a Piccardi, Ascarelli e La Malfa) che, accompagnate da forti polemiche e accesi dibattiti, portarono all’attenzione dell’opinione pubblica temi come il libero mercato, l’eliminazione di misure protezionistiche e persino la disputa sulla nazionalizzazione dell’energia elettrica, vissuta con grande sofferenza come minore dei mali per sottrarre ai privati quello che all’epoca si configurava come un monopolio naturale.

A giudizio di molti, l’errore fatale commesso dagli Amici del Mondo fu la trasformazione (1956) – attuata malgrado le forti perplessità espresse da Ernesto Rossi – del movimento in partito, che portò alla costituzione del Partito Radicale; la coesistenza di visioni e di idee differenziate e talora contrapposte, possibile in un movimento che aveva acquisito grandissima visibilità e potere di influenza, divenne manifestamente ingestibile nell’ambito di un partito, peraltro amministrato con una certa improvvisazione e scarsità di mezzi. Ne seguirono liti e rotture clamorose con scambio di accuse infamanti e persino di querele tra vecchi amici che avevano condiviso sacrifici e aspettative di modernizzazione di un Paese, narcotizzato da una politica di contrapposizione formale ma di sostanziale consociativismo tra democristiani e comunisti, entrambi insensibili ai problemi della laicità dello Stato e refrattari ad una cultura di mercato.

Il seme di una concezione di libero mercato, di lotta alle rendite di posizione, di arretramento dello Stato da quelle attività economiche, che non necessitando di sostegno pubblico, fossero in grado di operare in un regime di libera concorrenza tra soggetti privati, cominciò a germogliare destando molto fastidio nel mondo politico e imprenditoriale dell’epoca, dominato culturalmente da una visione dello Stato interventista assistenziale. Fu l’epoca sciagurata dello “Stato operatore di sviluppo pianificato”, che mise in atto un processo di pianificazione industriale di stampo sovietico, sostenuto in modo particolare da certe componenti della sinistra cattolica. Voci isolate come quella di Amintore Fanfani definirono quei documenti “Il libro dei sogni”, ma non si trattò purtroppo solo di elucubrazioni oniriche poiché quei progetti ebbero attuazione dando origine alla stagione delle “cattedrali nel deserto”.

La cosa sorprendente è che da un versante antitetico, per non dire ostile, rispetto a quello degli Amici del Mondo giungevano testimonianze importanti a sostegno di una visione liberista del mercato e di avversione al “concetto hegeliano dello stato etico” (Londra 1926); in un saggio dedicato a Luigi Sturzo, pubblicato da Rubbettino e curato da Luciana Dalu, si riporta quanto il senatore nell’ottobre 1951 affermava: “la perdita della libertà economica verso la quale si corre a gran passo in Italia, seguirà la perdita effettiva della libertà politica […]”. Nel dicembre 1952 Sturzo scriveva: ”Lo statalismo non risolve mai i problemi economici e per di più impoverisce le risorse nazionali, complica le attività individuali, non solo nella vita materiale e degli affari, ma anche nella vita dello Spirito”. Nel 1926 infine Luigi Sturzo aveva dichiarato: ”[…]Noi concepiamo l’individuo come base, fine e limite dello Stato; I diritti individuali sono per noi inalienabili, e quanto più sono conquistati e realizzati, tanto maggiormente tali diritti limitano la sovranità dello Stato”. Concetti e parole di una attualità inquietante, rispetto ai quali non si può aggiungere altro.

Ma allora con questi precedenti com’è possibile che il seme di tanto pensiero abbia dato un raccolto così misero? Certamente nel frattempo sono intervenuti cambiamenti estremamente rilevanti: dalla caduta del muro di Berlino, all’unificazione europea, dall’attuazione degli accordi, negoziati in sede WTO, di progressiva liberalizzazione dei mercati globali di beni, servizi e proprietà intellettuale all’avvio del federalismo fiscale: tutti fatti questi che hanno concorso ad allargare le aree di influenza del mercato e a stimolare la competitività delle imprese.

Cionondimeno è innegabile che, come eredità di un recente passato, rimangono settori di attività (energia, trasporti, utilities, distribuzione carburanti, mercato del lavoro, professioni ed altri) con un insufficiente grado di competizione e quel che più preoccupa affiorano – in verità non solo in Italia – tentazioni neo-protezionistiche che contribuiscono ad indebolire i fragili equilibri di questa Europa in crisi di identità.

Alla potente Confindustria dei padri del capitalismo italiano è subentrata quella più moderata delle figlie e dei figli, certamente più moderna e con un convinto orientamento al mercato nella sua dimensione globale, ma con un livello di rappresentatività purtroppo compromesso dalla scomparsa nel frattempo avvenuta di alcuni settori importanti della grande industria (chimica, farmaceutica, tessile e in parte auto). E’ comprensibile che nell’agenda politica oggi venga data priorità all’emergenza immigrazione, cercando di sgretolare con la forza della ragione associata a fredda determinazione il muro di cinismo edificato da un’Europa che non corrisponde al modello prefigurato da Altiero Spinelli.

Passata la nottata, sarà probabilmente opportuno riprendere il filo del ragionamento sopra abbozzato che nella sua formulazione più ampia trascende i limiti dell’economia e dei mercati per investire un ambito ben più ampio che attiene al rapporto tra libertà e giustizia, diritto ed etica, individuo e stato.

 

Andrea Verde, 16 aprile 2011
Zona di frontiera (Facebook) – zonadifrontiera.org (Sito Web)

Andrea Verde
Zona di frontiera, 16 Aprile 2011


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