LIBIA: CACCIA AL NERO

Non tutti gli immigrati provenienti dalla Libia sono diretti in via esclusiva in Francia o Germania. Non lo sono, soprattutto, quelli appartenenti alla comunità africana subsahariana, occupanti le baracche delle periferie di Tripoli come di Bengasi. I somali, gli etiopi, nonché gli eritrei, come i nigeriani e i ganesi, affollano da tempo i vicoli delle predette città, dove hanno trovato lavoro. Anche se il loro sogno, da sempre, è quello di raggiungere l’Europa e l’Italia.

Gli accordi Italia-Libia erano serviti a impedire che i trafficanti di schiavi speculassero sulle aspirazioni di queste persone. Prima di allora, infatti, dalle coste libiche partivano in massa per Lampedusa proprio immigrati di colore, con una certa tolleranza (e grazie anche ad una buona dose di corruzione) delle autorità libiche.

Non solo: prima dell’infausto intervento militare anti Gheddafi e delle insurrezioni che l’hanno preceduto, questi immigrati non se la passavano così male in terra libica, specie se si opera un raffronto coi posti da cui erano stati costretti a fuggire. Mauro Mondello, giornalista free lance, ai microfoni di Radio 3, ha sostenuto che per l’Africa Subsahriana la Libia era quasi una sorta di El Dorado.

I rifugiati (somali, eritrei, etiopi) registrati dall’Unhcr in Libia sono circa 8000, ma sembra che la popolazione subsahariana nel paese maghrebino sia di molto superiore. Si ritiene che, in effetti, i subsahariani ivi presenti siano circa un milione e mezzo. Lavorano, anzi lavoravano, come operai manovali, a volte “a nero”, o anche come impiegati nel piccolo commercio.

La guerra, ora, non solo per il venir meno dei dispositivi di sicurezza approntati, ma più in generale per la situazione di grande incertezza che genera, induce masse di uomini, donne, bambini ad allontanarsi dalla Libia per tentare l’approdo sulle nostre coste. I disperati di cui il Mediterraneo è divenuto la fossa comune venivano da lì, dalla Somalia, dall’Eritrea, e in Libia avevano trovato in qualche modo un’occupazione, erano sfuggiti alla fame e a conflitti che da tempo avevano messo a ferro e fuoco i paesi d’origine, portandovi morte, miseria, distruzione.

Fuggivano di nuovo, adesso, a causa di una guerra che non avrebbe dovuto proprio iniziare. Ma, per questi disperati, a tragedia si aggiunge tragedia. Gli insorti, infatti, hanno dato vita già da tempo ad una vera e propria “caccia al nero”, che si fonderebbe sul timore che il regime stia reclutando mercenari di colore provenienti da Ciad e Nigeria…

Ritenuti, dunque, al soldo del colonnello, questi paria sono oggetto di insulti per strada, aggressioni fisiche, rapine. Alcuni di essi vengono linciati da folle aizzate dai ribelli antigovernativi. Don Mussie Zerai, sacerdote cattolico eritreo che da Roma segue quotidianamente le vicende della sua gente, riferisce di eritrei uccisi nelle pubbliche vie, di famiglie segregate nelle loro abitazioni per timore di incorrere nelle ronde anti-neri, di somali picchiati e buttati fuori di casa dai proprietari. E’ chiaro che, costretti a nascondersi, affamati (per loro il cibo sembra costi addirittura il triplo), queste persone non possono restare in loco né tanto meno è pensabile che tornino nei paesi d’origine.

Gli “smuggler” (trafficanti di clandestini), così, hanno  rimesso in moto la macchina del traffico di esseri umani.

Mario Colella
Zona di frontiera, 8 Aprile 2011


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