SCONFITTA E CRISI SOCIALE

Inutile ora arrampicarsi sugli specchi, cercare le motivazioni della sconfitta in formule alchemiche o esoteriche. Il centrodestra ha perso perché non è stato sufficientemente credibile. Quasi dappertutto, dove governava, è stato scalzato e con percentuali se non bulgare perlomeno pesantissime. E chi governa (bene) parte avvantaggiato, non deve neppure sforzarsi molto. Questa è la regola.

Cos’è accaduto, quindi? Da un lato la politica nazionale non ha aiutato, con le sue divisioni interne, la paralisi parlamentare, le continue polemiche, le sliding doors in fibrillazione per traffico di parlamentari. Dall’altro la mancanza di struttura e di partito ha fatto sì che quasi ovunque il centrodestra abbia scelto in ritardo i propri candidati e alleanze, non riuscendo a dirimere le rivalità se non fuori tempo massimo, presentandosi con troppe divisioni e dopo devastanti pubbliche polemiche. Un disastro sotto il profilo dell’immagine, che ha spinto l’elettorato a girare le spalle a Lega Nord e PDL.

Eccessivamente spregiudicato è stato voler connotare un voto amministrativo di un tratto nazionale, personalistico e referendario su Berlusconi. Non ci si è resi conto che non funziona più. Berlusconi è perseguitato dalla giustizia? Alla moltitudine di disoccupati, cassintegrati e sottoccupati non importa proprio. Ma nemmeno – ed è una novità – importa più ai piccoli commercianti in difficoltà, agli artigiani, agli imprenditori, i quali più non credono il centrodestra riuscirà a fare le riforme.

Berlusconi, per la prima volta, ha sbagliato. Non è entrato in sintonia con il popolo, non ha saputo leggerne i segnali. Per la prima volta non è riuscito a comunicare e a convincere, sortendo l’effetto opposto. Vecchie e logore sono risultate le litanie anticomuniste, ma non se n’è ancora accorto. A tutt’oggi molti stimati analisti di centrodestra parlano di una vittoria delle bandiere rosse, ma non è così o almeno lo è solo in parte. È incidentale, infatti, che il vendolismo e il grillismo siano riusciti ad intercettare il disagio sociale e a trasformarlo in voto. È accaduto perché sono quelli che più sono stati capaci di convincere d’essere forze di rottura, protesta e cambiamento. In realtà solo cavalcano la diffusa e crescente crisi sociale e non offrono risposte molto diverse da quanto visto fin’ora.

In movimento c’è ben altro e si propaga con una velocità impressionante. È quello che succede nel Magreb e che ora sta investendo anche la penisola iberica. È probabile si diffonderà in tutta Europa, scompaginando vecchi equilibri e modi di fare politica. È una agitazione sociale nuova e profonda, alimentata dalla crisi non solo economica che imperversa e che, per il momento, si nutre di vuote parole: lavoro e democrazia. È un movimento che sa solo cosa non vuole, non cosa vuole. Già serpeggia anche tra noi, se solo troverà il suo Marcuse diventerà uno tsunami.

Paolo Visnoviz, 30 maggio 2011
Zona di frontiera (Facebook) – zonadifrontiera.org (Sito Web)


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