RISVEGLI

«Sono ciechi e guide di ciechi. E quando un cieco guida un altro cieco, tutti e due cadranno in un fosso!»
Matteo apostolo ed evangelista

Ho fatto un botto; non io per la verità, io non ho fatto un bel fico secco, il botto me lo ha fatto fare un signore con una Mercedes 44 magnum che è entrata dentro a tutta velocità nella mia 500. Fatto sta che mi sono svegliata biscornuta e dislessica dentro un’ambulanza. Se uno va in coma, anche per tempo breve, funziona che dopo, per un po’, il mondo è più soffice, come fosse ovattato. Niente dolori, niente incazzature, niente di niente. I bernoccoli dello spirito si fanno sentire poco a poco; mi sono taciuta un’intera estate guardando con un sorriso ebete perfino Gianni Riotta, senza che il mio sensorio avesse il minimo smottamento. Qui curano all’oppio, che non è male.

In fondo, non pensare è bello; dev’essere per questa ragione che i giornalisti italiani sono così felici e così tirati a lucido. Tutti a passarsi festosi la stessa fotocopia e incassare lo stipendio. L’Italia va alla grande, il premier è adorato da folle plaudenti e per farli felici si è fatto comprare un bell’aereo, così tutti naso in su col fazzoletto, quando se ne va all’estero giulivo. Giulivi sono pure gli Austriaci che applaudono ai migranti e si mettono in colonna nelle auto per andarseli a prendere; Putin è sempre il cattivo, Obama sempre il buono, l’Europa la panacea. La Grecia ha votato, così tanto per votare, che il bel Tsipras ammerkellato deve aver fatto mettere camomilla nelle tubature, poi c’è il campionato, le tenniste e le tette, argomenti ben più succosi per riempir zucche vuote di sudditi.

Tempi di dittatura senza dissidenti. Il pensiero è veramente morto; prima – e non era tanto tempo fa – i partiti facevano i programmi, prima di passare al ciclostile erano pensati – talvolta mal pensati – da persone. Chi di noi non ha mai creduto, almeno una volta, di cambiare il mondo? Era solo ieri, ed oggi siamo stretti in una mossa di divieti astrusi, senza senso, di parole distorte e idee imposte. La società non c’è più.

Disumano, troppo disumano, l’Occidente avanza per stereotipi ed ogni passo è un errore. Nel deserto del relativismo, non c’è bussola che possa orientare il cammino.

Tre mesi orsono – prima del botto – mi pareva si potesse ancora scrivere di politica, in fondo è solo passata un’estate. L’Europa tecnocratica ha perso perfino la decenza, è una torre di Babele che continua ad ammassare, nei suoi opulenti e sfacciati palazzi, il peggio di ogni popolo; vogliono costringerci a diventare stranieri di noi stessi, senza alcun credo, alcun sesso, alcuna capacità di distinguere il bene dal male, il sublime dal grottesco, la verità dalla bugia.

La storia quasi mai riesce a raccontare le ragioni autentiche della morte di una civiltà: le invasioni, le guerre, il sangue sono solo gli attimi prima della fine. Gli antichi, che avevano la poesia, inventarono i miti e i loro meravigliosi intrecci. Erano il sigillo nobile di ogni sconfitta: noi non abbiamo miti, e non abbiamo poesia.

Quel tale – non voglio neanche nominarlo, nè lui, nè tutti gli altri, tanto è il voltastomaco – che disse: «con la cultura non si mangia», ignora che senza cultura si muore. I reucci oscenamente nudi che tirano i fili di questo lugubre teatrino non sanno nemmeno inventarsi un’epopea.

Pensate che il botto mi abbia messo il magone? Forse, ma se una si risveglia e trova un intorno anestetizzato, indistinto, dove le parole non hanno più senso, sono rumore e basta. Dove ognuno di noi, per sopravvivere, si dibatte tra voci meccaniche, scartoffie, norme astruse, colpevolizzato come se fosse un serial killer se solo s’azzarda a cantar fuori dal coro, cosa volete che scriva: individuo, coscienza, fierezza, ideali, Patria, compassione, umanità, orgoglio, onore, sono parole cancellate d’ufficio dai dizionari, non sono a norma. Imparerò il linguaggio calcistico. Oppure mi metto al ricamo e buonanotte al secchio.


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