SECOLI A CONFRONTO

Per meglio comprendere il nostro tempo, basta pensare ai primi anni dell’altro secolo. Il futurismo, il Liberty, l’Art déco, il Bauhaus, i dada e i primi germi del surrealismo. Piet Mondrian, Paul Klee, Salvador Dalì, Giacomo Balla, Amedeo Modigliani, Pablo Picasso. William Faulker, Scott Fitzgerald, Ernest Hemingway, Ezra Pound, Italo Svevo. Sigmund Freud. La Jazz Age. Giganti i cui echi delle loro idee e visioni riecheggiano tutt’ora. Il fascismo e il comunismo. La depressione, una guerra mondiale preludio di una seconda. Le illusioni, la concretezza, la velocità. Tutto, nel bene e nel male, era potente, evocativo, nuovo. Coraggioso o incosciente, ma vibrante.

Pensate ora ai primi anni del nostro secolo. Il culone alla Kim Kardashian, i jeans strappati e nell’arte figurativa, il nulla. Bernard-Henri Lévy, André Glucksmann, Saviano, Fedez. James Redfield e la New Age. La martellante pubblicità dei divani in tv, specchio della massima ambizione rivoluzionaria cui si può aspirare: sprofondati sul sofà a guardare Renzi da Fazio. E tra un rutto e una grattata alle parti intime, entusiasmarsi per i banali giochi di parole del Gran Rottamatore. Se non hai un divano, non sei un renziano (questa gliela regalo). Corri, fino a domenica ti fanno il 99% di sconto e in omaggio pure la tessera del Pd, ma quella te la danno anche con le patatine. È la socialdemocrazia, bellezza. Una roba che non sa né di carne né di pesce, che non sa dove andare, figuriamoci se potrebbe pure portarci. E ancora le coppie gay e i figli delle coppie gay, acquistati al supermercato.

Il paragone non solo è impietoso, ma lascia sgomenti. Forse per la prima volta nella Storia, dei valori ormai logorati dal tempo non vengono superati da altri valori, ma da non-valori. Pensate all’Europa, per esempio. Nata dalla fobia dei nazionalismi, è divenuta mera organizzazione burocratica vuota, priva di alcuna spinta ideale. Le nazioni aderenti non hanno ceduto sovranità per immetterla in un consesso più ampio, com’è – volenti o nolenti – sempre stato, ma l’hanno ceduta al ni-ente. I Paesi più in difficoltà sono, infatti, proprio quelli che più vi hanno creduto: Spagna, Italia, Grecia. Hanno rinunciato a se stesse, alla propria identità per avere nulla in cambio. Al contrario le nazioni che hanno mantenuto una spinta nazionalistica più forte, perché nel loro dna da sempre, sono quelle che da quest’Europa hanno tratto maggior giovamento. Germania, Francia, per non parlare dell’Inghilterra, sempre con un piede dentro quando conviene e con due fuori quando si tratta di farsi gli affari propri.

Il problema non è economico, ma culturale. Non si è mai vista una nazione, un impero, una federazione senza una lingua comune, senza un esercito proprio, senza poteri vitali controllati centralmente. Tutto ciò non è casuale, ma conseguenza logica dei presupposti che stanno alla base della nascita dell’Europa stessa: se i nazionalismi sono il male, una nazione più grande è solo un male maggiore. Nessuno però ha ancora trovato un’alternativa, da qui il vuoto assoluto, l’incapacità di decidere, il coraggio di essere.

L’arte, la filosofia, la cultura, le mode non riescono a diventare movimenti. Ogni tanto un lampo, un fuoco di paglia che subito si spegne. Siamo forse tutti diventati stupidi? Non lo credo. Un tempo le idee nascevano grazie all’attrito tra persone visionarie che, per destino o fortuito caso, creavano una magica alchimia ritrovandosi nei caffè, in qualche salotto, nella vita. Ne nascevano discussioni interminabili, tra fiumi di alcol e fumo. Le idee avevano il tempo di affinarsi, di crescere, svilupparsi. Una volta grandi, possedevano la necessaria forza e maturità per esplodere in qualcosa di nuovo e mai visto prima. Scintillavano, incuriosivano, cambiavano la società. Oggi le idee nuove – se ci sono – sono deboli e solitarie, muoiono prima di nascere, seppellite dallo streaming che ogni secondo cancella indistintamente il pensiero profondo come il pensiero banale, con un gattino. Nulla vale il tempo di una propria riflessione, di un approfondimento, di un confronto. Tutto viene liquidato in fretta, seppellendo ogni cosa da uno spesso velo di insopportabile saccente superficialità. Si chiama agonia di una civiltà. La nostra, quella occidentale.

Paolo Visnoviz
Zona di frontiera, 9 Settembre 2015


Un commento a “SECOLI A CONFRONTO”

  1. franco brezzi says:

    Bentornato foglietto, ne sentivo la mancanza. Non che mi fossero mancate le esternazioni dei suoi autori: trovavo altri siti per seguirna qualcuna. Ma la ricomparsa di ciò che oserei definire “ormai classico”, mi procura una soddisfazione intima. E’ ritornato qualcosa di “mio” insomma. Grazie, Franco Brezzi


Lascia un commento