LA BANDIERA STRAPPATA

Prima domenica con il mamozio presidenziale. Ne verranno altre, lo specchio si è rotto: sette anni di guai. Ci sono fatti che istantaneamente stingono sulla coscienza collettiva. Si ha proprio l’impressione che da ieri gli Italiani siamo un po’ più mogi. Tutti si erano appassionati alla tenzone, avevano proprio voglia di un riferimento, di uno zio della Patria, se non proprio un padre. Invece il ducetto e le sue scimmie addestrate o ricattate ci hanno imposto un salto all’indietro, un compromesso storico stantìo senza prospettive e senza visione del futuro.

Ci hanno detto, con il loro comportamento arrogante e sprezzante, che l’anomalia italiana – questa dittatura stalinista-tecnocratica che ci fa servi, agrumi da spremere, soprammobili da chiudere in soffitta -, traghetterà l’Italia in una secca di conformismo bacchettone perché sia colonia di qualcosa, e nulla più. E c’è dell’altro. In questa sciaguratissima elezione tutti i partiti sono morti, il dittatore li ha uccisi conservandosi gelosamente tutti i servi. Doveva essere così in Russia, credo, dai racconti di chi è scappato. Certo, potremo comprarci forse ancora un jeans, una bottiglietta d’acqua di colonia, non certo la libertà. Sette anni son tanti, troppi, per una Nazione che aveva bisogno d’aria, di creatività di coraggio; una nazione non ancora fatta, abbozzata ed un po’ confusionaria, ma ricca di tanti caratteri identitari che se valorizzati e pazientemente guidati, avrebbero potuto farla tornare grande.

Matteo Renzi, un vanesio venditore di fumo con un fondo cattivo, pensa, come ogni ofano, di aver compiuto una grande opera. Sbaglia. Gli Italiani non sanno tagliar teste, e nemmeno scendere in piazza, ma c’è una cosa che sanno fare meravigliosamente, forse per difendersi, da una classe politica indegna e presuntuosa: sanno fare a meno dello stato, ignorarlo signorilmente, come fosse una mosca venuta a morire dentro un ottimo minestrone. E infatti si sono messi a far altro, mentre con grande lena i leccalecca mediatici mettevano su le grancasse agiografiche. Con tutto il rispetto, se ne fottono del gaudio di Pomicino, delle piroette di Vespa e pure di quella gragnuola di insulti e villanie verso gli avversari politici che si è immediatamente scatenata non appena è stato chiaro che il porco era cotto a puntino. Guardano altrove.

È caduta la grande menzogna del bulletto fiorentino: quella di normalizzare questa democrazia morente, avvelenata dallo strapotere giudiziario, dalla malafede comunista, dal cappio tecnocratico, pacificando. Non voleva pacificare, voleva soltanto farsi il deserto intorno, per comandare meglio. Vederemo se le sue truppe, finito il baccanale quirinalizio e senza più sagome di cartone da far cadere col fucile a piumini, continuerà a stendergli tappeti rossi davanti senza trappole. Il Duce disse: “molti nemici, molto onore” e non gli andò troppo bene. Inoltre questo bel tomo, non ha granché da offrire in contropartita per tenerli zitti. Certo, la poltrona. Se cade lui cadono tutti a cascata, dunque lo faranno restar lì, ad illudersi di essere onnipotente per poi fregarlo in ogni occasione possibile.

Noi staremo a guardare. La nostra casa, quella delle libertà è bruciata. Il nostro progettista non ha saputo costruirla con gli uomini giusti. Ed in quest’ultimo atto ha offeso e maltrattato il migliore dei suoi uomini, colui che di quella casa era l’anima: Antonio Martino. Esuli in Patria e fuori, guardiamo il nostro Paese splendente di una bellezza tragica, calpestata in ogni modo; guardiamo le facce dei nostri compatrioti e diciamo che no, con tutti i loro difetti e stramberie non meritavano questo. Perché è vero, una dittatura l’avemmo, ma Mussolini, pace all’anima sua, fu dittatore per lei, non per se stesso, come fanno questi.

Il Tricolore, sopra il Quirinale, ieri si è strappato. Sventola a pezzi, mentre in basso il mesto teatrino continua. “La musica è finita, gi amici se ne vanno…” Terremo accesa la fiammella della rivoluzione liberale, senza sperare non si esiste, ma loro, gli autocrati, lasciamoli soli, spegniamoli in televisione, dimostriamo in ogni modo il nostro disprezzo sovrano. Il disprezzo sovrano del Popolo Sovrano.

Angela Piscitelli
Zona di frontiera, 2 Febbraio 2015


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