IL NOTO IGNOTO

Un opportuno intermezzo teologico.

Alla crisi economica – miseria e carenza di programmi concreti – si aggiunge il deserto di prospettive e di speranza: il vuoto di ció che si dice la ʺtrascendenzaʺ. Le persone intelligenti, simili a sismografi, sono in allarme. Sgarbi non espone più le sue idee, inveisce: la società non merita altro. Il senso della presenza di Dio, ʺl’assolutoʺ, unico rimedio contro ʺl’insonnia della vitaʺ, si dissolve. Bisognerebbe ricominciare a sentire Dio almeno in negativo: magari imprecando, come faceva quel geniale parolacciaro di Domenico Rea.

Giuliano Ferrara continua a convertirsi: non ragiona per agevoli simmetrie, come gli opachi illuministi, ma avverte con ironico sdegno il vuoto etico imposto dai soliti maîtres à penser, commessi viaggiatori delle ʺidee utiliʺ. Languisce la dialettica del divenire; resta il piétinement sur place del declino. Sarebbe utile rimeditare il messaggio di Benedetto XVI°, e Ferrara lo fa.

Chi pensa che la realtà sia tutta qui, erra. Indubbiamente la realtà è qui, ma solo per un lembo; il resto è oltre. Invece ci siamo abituati a chiamare la realtà col nome di Verità, che non merita. Ernst Bloch: ʺCió che è non puó esser veroʺ, non solo in senso marxista. Certo, la realtà oggi è dura. Una donna muore, e la figlia ne cela il cadavere nel sottotetto per non perdere la pensione. Un tale, terrificato dalla vita, non si suicida per non abbandonare i figli ad una disperata solitudine… Si puó enumerare per ore. Eppure, la verità non è la realtà, è il suo ʺsensoʺ. Che spesso è apofatico ovvero recondito, talora indicibile. E poi, dire la verità è comunque difficile: per riuscirci, ci vuole l’arte, la quale è la radice dell’estetica, premessa della comprensione. Si pensi alla prospettiva ʺrovesciataʺ della pittura primitiva, a Piero della Francesca, a Giotto, ai salmi (psallam tibi, Domine). Ferrara ci ricorda tutto questo: siamo alle prese con le cose ʺignote ma noteʺ, come dice anche Benedetto XVI°: ti senti ignorante, ma avverti di ʺcontenereʺ un sapere dimenticato. È l’anamnesi di Platone, questa. La verità sulla via del ritorno, in rotta d’accostamento: di nuovo, ʺdialetticaʺ.

Indubbiamente le ʺradici della cultura europeaʺ affondano nella ʺteologia occidentaleʺ, anche se gli antichi monaci volevano non certo ʺcreare una culturaʺ, ma solo quaerere Deum, cercare il definitivo (l’escatologico) oltre il provvisorio. È dunque utile ricordare che anche l’odierna cultura laica è figlia della fede. La Bibbia è un ʺinsieme di diversitàʺ, e questo non è un difetto -, è invece una scuola del molteplice e d’esclusione del dogmatismo. In tale libertà controllata sta il segreto della cultura europea: né servitù, né arbitrio. Di qui nasce l’insegnamento di Benedetto XVI°: che, nei suoi recenti discorsi, ancora parla di ʺun cuore docileʺ e d’una ʺecologia dell’uomoʺ: temi che ricordano il mirabile discorso di Ratisbona, del quale è utile riassumere le principali linee. Oso farlo.

Benedetto prese le mosse da una dichiarazione di Manuele Paleologo (c.ca 1390, bizantino cresciuto in ambiente filosofico greco): ʺnon agire secondo ragione [in greco: sun logo] è contrario alla natura di Dioʺ. Parole che sono in accordo col Vangelo di Giovanni: ʺIn principio era il Logos, e il Logos è Dioʺ. (Nella tradizione islamica, invece, Dio non è legato dalle leggi della verità, è integralmente a legibus solutus). Questa ʺgrecitàʺ del primo Cristianesimo è anche ribadita dal fatto che la Settanta non fu una semplice traduzione. Fu una sintesi tra spirito ebraico e spirito greco: già vive in essa quel felice incontro tra fede e ragione (che, aggiungiamo noi, sarà il prezioso, peculiare frutto della civiltà europea), poi ribadito dal cosiddetto intellettualismo agostiniano.

Nel tardo medioevo comincia la de-ellenizzazione, che incrina questa equilibrata sintesi. Inizia Duns Scoto con la sua interpretazione volontaristica, che già disegna un Dio legibus solutus. Seguiranno poi le tre ʺondateʺ decisive:

1 – La Riforma, sec.XVI°, tende a liberare la fede da tutte le stratificazioni filosofiche, e il sola scriptura di Flacio Illirico sancisce questo svincolamento.

2 – Kant ascrive la fede alla sola ragion pratica. La ʺteologia liberaleʺ, con von Harnack conforta tale tendenza, e sottolinea l’interpretazione pascaliana, esclusivamente umanitaria, del messaggio cristiano. In tal modo l’ethos e la religione scadono nell’ambito della discrezione personale (ribadendo la tendenza luterana) e perdono la ʺforza di creare una comunitàʺ.

3 – È l’ondata oggi in corso: il nostro democratico, nefasto relativismo che, in omaggio all’attuale sociologismo (molteplicità delle “culture”), considera la sintesi ellenistica solo una delle svariate, possibili inculturazioni.

Abbiamo cosí un Dio a legibus solutus, sciolto da tutte le leggi: quelle del reale e quelle della coscienza – e pertanto anche quelle della coscienza sua propria. Un Dio che puó mancarti di parola. Che si accosta al Dio dell’Islam e anche, significativamente, all’attuale nefasta ʺlicenzaʺ delle coscienze.

Chiaro, no!? Questo significa perdere la bussola europea; è un avvertimento anche per i laici. Ferrara ha puntato la prua verso la direzione giusta.

Leonardo Cammarano
Zona di frontiera, 4 Maggio 2014


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