BLOCCO CULTURALE

Non riesco ad entusiasmarmi della rielezione di Napolitano, e ancor meno posso provare speranza per l’incarico dato a Enrico Letta. Il Paese è inchiodato, solo apparentemente, su due problemi: la mancanza di autosufficienza del Pd al Senato, e da un vasto blocco ideologico pervicacemente fossilizzato sul «Berlusconi mai».

Il Pd non è esploso, è più forte che mai: chiagne fotte a chi ride. Ha solo liquidato l’ennesimo dirigente di partito e continua, come sempre, a occupare il potere. Mai come oggi tutte le prime cariche dello Stato sono in mano alle sinistre: presidenza della Repubblica, del Senato, della Camera e del Consiglio. Più di così, solo la Corea del Nord.

L’occupazione delle più alte poltrone ha solo reso visibile quanto, da anni, sta accadendo nel Paese. Non c’è una riforma, un tema all’ordine del giorno, un aspetto messo all’attenzione della pubblica opinione che non sia di taglio progressista, socialista, di sinistra. Berlusconi da sempre insegue, sistematicamente sconfitto su ogni proposta e su ogni tentativo di dare all’Italia delle norme di carattere liberal-annacquato, con l’andare del tempo sempre più diluite. Tronfio e vanesio qual’è si accontenta di sbandierare come vittoria la testa di Bersani (e che importa? Morto uno smacchiatore, se ne fa un altro), pago dell’ipotesi che finalmente una parte della sinistra accetti di parlare con lui, l’«impresentabile».

Nucleare? Affondato. Le disastrose, fallimentari – tecnicamente ed economicamente – politiche delle energie alternative? Bisogna spingere di più. Caccia agli evasori? Giusta e da perseguire. Politica internazionale, accordi economici ed energetici con Gheddafi, Putin, Erdogan, ecc.? Derisi come politica delle «pacche sulle spalle», smantellate con cieca sudditanza a vantaggio di Usa, Francia e Inghilterra, in cambio di incondizionato appoggio politico interno (vedi la mirabile orchestrazione della balla della bolla sullo spread): «una leadership straordinaria in Italia, in Europa e nel mondo», ha dichiarato recentemente Obama parlando di Napolitano.

Non c’è una sola riforma, nemmeno una, che in questi anni vada in direzione contraria, di stampo almeno vagamente liberale. Anche quelle poche cose fatte quando ha governato il centro-destra, con immani fatiche, combattendo contro proteste strumentali e bugie, sono state tutte demolite. L’Ici reintrodotta con l’Imu, vera e propria patrimoniale anche per i poveri; legge Bossi-Fini e politica dei respingimenti, già edulcorate dalla magistratura, avranno definitivo termine con le umanitarie attenzioni della Boldrini; il federalismo, ingabbiato in pastoie burocratiche che lo hanno reso inutile e, come se non bastasse, è stato auto-affondato dalla Lega con buffonate come quella dei Ministeri del Nord; devoluzione, riduzione dei parlamentari, fine del bicameralismo perfetto, aumento dei poteri del Premier introdotti da Berlusconi, miseramente schiantati da Prodi con un referendum nel 2006.

Il blocco è prima culturale che politico, dominato da una massa non pensante, stupida e ottusa, che ha pure la pretesa di primeggiare per intelligenza e sapere, convinta di essere depositaria della verità. Una massa che non cambia idea, nemmeno quando la realtà presenta loro il conto e dimostra che avevano torto: piuttosto cambiano cavallo e continuano imperterriti. Così è accaduto con Di Pietro, abbandonato per il nuovo, vecchio Grillo.

Nel dibattito per la successione di Napolitano non è mai entrato, nemmeno per un momento, un nome che non sia appartenuto all’area perbenista di questo Paese: Marini, Prodi, Rodotà. Si è costruita una alternativa finta, tra il pessimo e il peggio. E di questo pessimo dovremmo pure essere felici. Antonio Martino, vero liberale, persona di specchiate capacità e altissimo valore è stato supportato timidamente solo da alcune iniziative spontanee, nate sulla Rete. Berlusconi non l’ha mai nemmeno nominato e vederlo ridere felice della rielezione di Napolitano è stato imbarazzante. Certo, tanti osservatori l’hanno definita una vittoria di Silvio, ma è stato solo un abile inganno, un furbo espediente per far meglio digerire l’amara pillola.

Oggi, se si inizia timidamente a parlare di presidenzialismo è solo perché le sinistre si stanno rendendo conto di quale formidabile strumento di potere questo possa divenire, e quali vantaggi un loro uomo, al Colle, magari con poteri aumentati, possa portare alla sinistra. Idem la riforma elettorale, sempre da modificare, sempre «porcellum» quando si teme di perdere, ma comodissimo trogolo a cui ingrassare quando si pensa di vincere.

Non si possono, quindi, nutrire speranze per l’investitura di Letta e per le dichiarazioni di buon intento di lavorare per il popolo: balle. Si tratta come sempre di occupazione del potere per continuare a demolire il Paese, piegandolo alle solite fandonie che la sinistra insegue da sempre.

Paolo Visnoviz
Zona di frontiera, 25 Aprile 2013


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