MONTERITY

Quella macchina là devi metterla qua. È un diesel? No, è una provincia.

È la spendingrevviù, bellezza. È quella roba che nelle famiglie italiane fa rinunciare alle ferie, alle scarpe nuove, al cinema o ad usare la macchina, ormai sommersa da guano e sporcizia, abbandonata in qualche parcheggio chissà dove. Un tempo si chiamava Austerity, e per colpa degli arabi a piedi ci andavamo di domenica; oggi si chiama Monterity, gli arabi li bombardiamo – usando la retorica della democrazia per instaurare la sharia -, massacriamo quelli che erano i nostri stessi pozzi petroliferi e a piedi ci va pure Marchionne. In Cina.

Monterity, amministratore delegato di questo Paese, imposto dai grandi azionisti esteri a loro tutela, ha il compito di pagare puntualmente le rate del mutuo Italia. Quando non riesce a trovare risorse per ridurre la spesa pubblica – causata dai costi della politica, delle ruberie, delle elefantiasi di un sistema clientelare che si nutre di 4,5 milioni di pubblici parassiti –, cioè finora mai, inventa nuove tasse. Cioè finora sempre. Spostare, accorpare, allargare, rimescolare i numeri delle Provincie non le farà scomparire, e con loro i costi ad esse collegate. Avevamo un sistema di governo a 5 livelli – Europa, Stato, Regioni, Provincie e Comuni – e continueremo a tenercelo. Nulla cambierà, se non l’addossarci ulteriori costi derivanti da traslochi, accorpamenti, ristrutturazioni, ricorsi, ecc.

Mentre il Paese è occupato nelle solite piccole cose, in lotte meschine per governare sempre più microscopiche fette di un cimitero, diventa particolarmente evidente che molti dei nostri mali, se non tutti, derivano da una sclerosi intellettiva di una ben definita area di pensiero, sedicente progressista, in realtà immobilista. Questa imponente area politica e intellettuale, culturalmente evoluta a luogo comune, è rimasta sostanzialmente sorda alle ragioni degli “altri” e non ha mai voluto riconoscere legittimità a chi si opponeva e si oppone alle loro idee.

Una consistente fetta di Paese, involuta sotto il profilo democratico, non ha mai ascoltato le ragioni altrui, senza nemmeno prendersi il disturbo di entrare nel merito dei fatti. Solo così si spiega come una realtà, solida quanto un immobile a Montecarlo, fino a quando ne parlavano “Il Giornale” e “Libero” era da considerarsi macchina del fango; quando ne ha cominciato a scriverne anche “L’Espresso” è divenuta “un problema per il presidente della Camera”. Idem per Di Pietro. Per anni Filippo Facci ha denunciato la poco trasparente gestione immobiliare di Tonino, ma è divenuto un caso nazionale solo quando la Gabanelli si è degnata di parlarne a “Report”.

Indegna è stata la lapidazione di Minzolini in Rai. Dobbiamo metterci d’accordo: se la Tv di Stato è un servizio pubblico, sotto diretto controllo del Parlamento, deve allora essere normale, quando cambia il governo, che si operi lo spoil system. Così ha fatto pure Monti, pensionando la Lei. Nessuno si è stracciato le vesti. Nessuno ha denunciato l’assassinio della democrazia. Identico atteggiamento si deve – si dovrebbe – verificare anche in caso contrario. Così non e stato.

Le recenti sentenze della magistratura dimostrano quanto anch’essa sia vittima di questo abominevole strabismo. Solo così si spiega la sentenza Vendola: «perché il fatto non sussiste». E no, potrà forse non configurarsi il reato, ma il fatto sussiste, eccome! Idem per il caso Lusi, dove Rutelli poteva non sapere che 22 milioni (ventidue) erano spariti: ovvero, come salvare qualcuno dandogli la patente di coglione. Sull’altra sponda, invece, continua pervicacemente un processo contro Silvio Berlusconi, secondo la procura colpevole di aver avuto rapporti con una minorenne(!) che è la prima a negare il fatto.

Tutto ciò ci ha messo nelle pesti in cui ci ritroviamo oggi, perché la politica può ciclicamente andare in crisi, ma se le istituzioni sono salde le ripercussioni sono minime. Ma non si possono costruire delle istituzioni con chi non vuole riconoscere legittimità all’avversario. Così rimangono sul campo costituzione, istituzioni, ordinamenti e miriadi di leggi e leggine arcaiche, che nessuno osserva perché obsolete, salvo poi farle uscire come conigli dal cappello quando utili per colpire il nemico, vedi residuati del codice Rocco per punire Sallusti.

Imprigionato Berlusconi nelle pastoie giudiziarie, Fini – utile idiota divenuto inutile -, viene abbandonato al suo destino, condannandolo alla sua stessa nullità, marginalizzato in retrovia dai corifei che intonano l’indistinto mantra del que viva Monti, obbligandolo ad attendere che qualche osso cada dal desco.

Di Pietro, dalla bocca troppo grande, non ha compreso in tempo che su Monti e soprattutto su Napolitano, non si può scherzare. Liquidato esattamente come Ingroia, anch’esso reo di aver cercato di colpire Napolitano, trasformato in giudice Maya. Nemmeno lui, con le sue cianciminchiate, serve più alla causa.

L’eredità passa ora a Grillo – utile idiota 2.0 – che assieme ad un porcellum improvvisamente rivalutato condurranno questo Paese ad una paralisi di governo, humus indispensabile per il perpetuamento di Monterity.

Paolo Visnoviz
Zona di frontiera, 2 Novembre 2012


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