NON PER NOSTALGIA

Siamo tutti esuli dal nostro passato.
Fëdor Dostoevskij

Più si riesce a guardare indietro, più avanti si riuscirà a vedere.
Winston Churchill

L’imbrunire, settembre ed un pianoforte che suona nella stanza a fianco. Nel fondo dei ricordi di ognuno deve esserci un’immagine simile. Chi non l’ha vissuta l’ha vista nei sussidiarii della scuola elementare come mondo meraviglioso ed irraggiungibile, profumato di olio zuccheroso: le frittelle di una nonna o di una zia, un grembiule infarinato, l’effervescenza domestica prima di cena: vietato mettere piede in cucina per piccoli e grandi fino alla fatidica ora.

Lo abbiamo dimenticato, ma bastavano poche cose per farci felici nel piccolo mondo antico nel quale nascemmo. E ripensandoci – è una debolezza o una certezza, non so – Napoli al tramonto si scioglie tutta intera con le sue lucine della sera, il venticello, il silenzio delle case, caldo di affetti, in una sola, lentissima e ribelle, lacrima di nostalgia.

Piangevano i bambini, allora, ma non per capriccio: umiliazione per un rimprovero, lo sguardo severo di una mamma ed anche e solo “perché avevano lacrime”. L’armonia talora è bella da piangere, saggi i piccoli, tutti conservatori capaci di fabbricare sotto il tavolo con i loro miseri giocattolini un mondo perfetto.

I nonni parlavano di guerra e di eroi, quante parole sono scomparse insieme al silenzio e all’imbrunire? e quante sono finite altrove perdendo il significato d’origine? Senso del dovere, rispetto per gli adulti, amore per la Patria: ”se ti comporterai bene e farai i compiti, potrai vedere Carosello”. E così Carosello era diventato una misura del tempo e del merito. Ora il tempo ed il merito non ci sono più. Cosa direbbe mio nonno se tornasse alla vita per un attimo e qualcuno gli dicesse che una delle sue pronipoti “ammazza il tempo” tra birre e gentarella? Loro che vissero per costruire, che tenevano da conto ogni attimo come fosse un dono prezioso, non potrebbero augurarsi altro che tornare in tutta fretta al sonno eterno prima di morire ancora, e di dolore. Non è la morale in questione, è il buon gusto: mistero dell’estetica che denota l’unicità delle cose e delle persone.

Il tempo non si ammazza – è un suicidio – è un contenitore minuscolo dove possono entrarci grandi sogni e, qualche volta, perfino sogni che si fanno realtà. Basta volerlo.

Assassini del tempo tutti gli ignoranti incollati alla palude maleodorante d’un cieco ed integrale materialismo, i vandali del paesaggio, volto dolente della nostra identità perduta. Dov’è il mondo di ieri? dove sono le parole? E noi, dove siamo?

Chi soffre d’amnesia è un malato, la scienza si affanna al suo capezzale perché ritrovi la memoria. Grottesco. Se è dunque patologia grave non aver coscienza del proprio passato – sostanza ed emozioni – perché i medesimi sintomi in una nazione o in un continente, li chiamiamo progresso? Progredire è “andare avanti” ma se dietro non c’è nulla, il progresso è un sostantivo senza sostanza.

“Questo non si fa. È cattiva educazione”. E noi, le guance color carminio, abbassavamo gli occhi ed a passi sconsolati guadagnavamo la stanza a fianco; e lì tra mortificazione e pentimento, raccoglievamo una carezza pietosa, ma non indulgente. Per far finta di essere grandi guardavamo il Vesuvio dietro i vetri, alzando ben la testa per poter agevolmente tirar su di naso. Se almeno qualcuno sapesse ancora arrossire… Se ancora qualcuno conservasse in un cassettino della memoria il terrore che la bugia fa crescere il naso a dismisura! Un Paese di mentitori seriali mente a se stesso. La “rottura del patto tra generazioni” di cui si blatera per retorica finanziaria è semplicemente l’incanto spezzato di una continuità che da educazione si faceva progetto. Anche i più volenterosi non possono più parlare ai loro figli. Dinieghi e carezze sono banditi in un mondo ove tutto è lecito tranne il buon esempio e gli affetti. Si giustifica la violenza in mille modi e si irride alla compassione; si classifica per sesso, censo, credo politico ed è cosi che la cultura ed anche la politica diventano statistiche gelide per elettrodomestici votanti: il ciclo di lavaggio lo stabiliscono i burocrati.

La nostalgia del tempo che fu non è un’ubbia da passatisti vieux jeu, è lo sforzo di evocare l’anima della nostra Italia sepolta da sessant’anni di damnatio memoriae. Un luogo dello spirito, che sia partenza per un’avventura vera di veri uomini e di vere donne. Ci hanno rubato la nostra infanzia e sta a noi denunciarne la scomparsa. Se non la ritroviamo resteremo adulti dimezzati dall’ideologia. E non potremo e non sapremo mai fabbricare con pochi mezzi un mondo migliore di questo. I ladri di sogni avranno vita facile e continueranno a propinarci i loro stolti modelli di sviluppo. Fermiamoli.

Angela Piscitelli
Zona di frontiera, 21 Settembre 2012


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