Nella sua accezione più nota, ma più semplicistica, democrazia significa potere del popolo, nome che deriva da due indicatori verbali greci: “demos”(popolo) e “kratos”(“potere”), quindi governo di popolo. Ma mentre nella democrazia degli antichi il popolo attuava direttamente le scelte politiche, onde era detta democrazia diretta; nella democrazia dei moderni il popolo esercita il potere indirettamente: a) eleggendo i suoi rappresentanti ed aderendo ad un programma, b) partecipando alla funzione legislativa con una “proposta” di legge, c) promuovendo il referendum abrogativo della legge, d) partecipando alla funzione giurisdizionale con la giuria e con giudici laici, e) rivolgendo petizioni alle Camere per chiedere provvedimenti legislativi, f) intervenendo, con apposito referendum a confermare (o non confermare) leggi di revisione costituzionali, g) per ultimo, non ultimo, associandosi (i cittadini) in partiti al fine di concorrere alla determinazione della politica nazionale. Ma, per vero, questi modi partecipativi sono praticati da una cerchia ristretta di cittadini.
Diceva Lenin che nella democrazia liberale il popolo ha solo il diritto di scegliersi i carnefici, ma ciò è vero solo nel caso in cui i cittadini, dopo il voto, si disinteressano della “res publica” (in tal caso si parla di democrazia “governata”); invece non ha fondamento se la partecipazione (nei modi previsti) all’esercizio del potere è assai consistente (onde la democrazia è “governante”).
La nostra Costituzione all’art. 1 stabilisce: “la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Oltre al diritto al voto – e quindi alla elezione dei deputati al Parlamento (o agli Enti locali) e conseguente adesione al programma dei singoli partiti -, è rilevante per la partecipazione effettiva all’esercizio del potere il diritto dei cittadini ad associarsi in partiti al fine di concorrere a determinare la politica nazionale.
Ma la democrazia postula cittadini evoluti e attenti alla cosa pubblica, esattamente informati sulle questioni politiche e quindi in grado di scegliere tra diverse soluzioni alternative sul tappeto: in altre parole il sistema democratico richiede consapevole impegno dei cittadini sia diretto che indiretto.
Questa è la fisiologia, ma noi siamo oggi in una fase di patologia del sistema democratico perché, da una parte, i partiti sono diventati una specie di satrapie, dove il leader ed il suo entourage (non di rado un clan di mediocri e veri “yes man”) decide tutto: le strategie politiche, le organizzazioni, le nomine di candidati alle cariche istituzionali, dall’altra, la partecipazione dei cittadini, iscritti al partito o semplici simpatizzati, è di entità trascurabile. Persino nelle cosiddette manifestazioni di piazza, siano esse di natura sindacale o di altra natura, spesso di protesta, e che pure vedono riunite numerosissime persone, il contributo concreto alla soluzione di problemi politici, è scarso se non proprio irrilevante, il più delle volte semplici masse manovrate.
E sono lontani dal modello costituzionale non solo i partiti che hanno nel loro dna il “centralismo democratico” – per altro degenerato ulteriormente nella idolatria del capo -, ma anche i partiti cosiddetti democratici, nei quali le decisioni politiche non salgono dal basso, ma sono adottate da un ben ristretto numero di mandarini, spesso solo portatori di tessere, non di idee.
Onde la vera democrazia si è eclissata, trasformata in quella che è detta, ma con brutto termine, “cacocrazia”, cioè il potere dei peggiori (dal greco kacos, cattivo, e kratia potere).
Indagare per stabilire le cause della degenerazione democratica è compito arduo, ma si possono indicare alcune di esse, che sono le più evidenti e significative. La disaffezione dei cittadini alla cosa pubblica (addirittura l’antipolitica) ha la sua origine in primo luogo da un dato culturale: non si è lontani dal vero dicendo che oggi esiste nella gente un marcato analfabetismo politico-costituzionale, oltre che un deficit di capacità critica, il tutto conseguenza della deficienza di corrette istituzioni formative (scuola) e di neutrali strutture informative (mass-media).
Il cittadino è decaduto da homo politicus, svanito il suo interesse (se mai ci è stato) per i problemi riguardanti l’intera collettività, senza più ideali per la conduzione della politica: si è chiuso nel suo orticello, dedito al proprio “particulare” economico o, al più, a quello della famiglia: insomma, non è più in circolazione l’ideale dell’interesse generale.
Dall’altra, la disaffezione della gente per la politica e per la classe dirigente è conseguenza della degenerazione dei partiti: da qui il pericolo concreto dell’emersione di forze demagogiche, o il più remoto pericolo dell’uomo “forte”, che elimina anche i partiti ed ogni libertà politica. Mussolini ed Hitler dovrebbero aver insegnato qualcosa.
Per altro, la degenerazione dei partiti in partitocrazia autocratica, la perdita di consenso dei cittadini per le istituzioni democratiche, anche per il diffuso malaffare nel sistema, la non partecipazione alle prassi democratiche hanno portato persino allo stravolgimento di principi costituzionali: per non risalire oltre nelle vicende di questa nostra malandata Repubblica è sufficiente, a titolo di esempio, richiamare la recente deriva costituzionale da parte di rappresentanti delle istituzioni.
A cominciare dal Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, il quale, oltre a nominare senatore a vita Mario Monti che non ne aveva alcun titolo (è scritto all’art. 59 che è nominato senatore a vita chi ha illustrato la Patria per altissimi meriti, nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario), ha imposto al Paese – violando ancora la Costituzione – un Governo non proveniente dal voto del popolo, e violando, altresì, la prassi costituzionale da sempre osservata secondo la quale in caso di crisi il Presidente della Repubblica incarica un uomo politico a formare il nuovo Governo (ed oggi in base alla vigente legge elettorale il popolo designa il capo del Governo). Si dirà che Berlusconi aveva dato le dimissioni da presidente del Consiglio ma, a parte che spettava al Parlamento accettarle, il problema restava: si sarebbe dovuto dare l’incarico ad un soggetto eletto dal popolo.
Soprattutto ha nuociuto alla sovranità nazionale, alla dignità del Paese, il vassallaggio alla Cancelliera teutonica, Angela Merkel (vi fu una misteriosa telefonata tra i due – altro strappo alla Costituzione, che non fa del capo dello Stato un organo politico con poteri di prendere impegni a livello soprannazionale), la quale Cancelliera impose non solo una strategia rigorosa per la nostra economia già di per sé in fase recessiva (lagrime e sangue per il popolo sovrano), ma pretese addirittura che ne fosse affidata la gestione a Mario Monti, uomo gradito ad essa ed ai poteri finanziari tedeschi, in quanto garante dell’attuazione della politica economica imposta.
Dunque, Napolitano può essere ritenuto, a ragione, responsabile oltre che della violazione dei precetti e prassi costituzionali (le tanto decantate “regole del gioco”), anche moralmente dei danni che l’adozione della politica economica voluta dalla Merkel sta cagionando all’Italia, non esclusi i continui suicidi di quanti non sono stati in grado di far fronte all’imposizione fiscale, ormai ritenuta da tutti intollerabile e controproducente. E’ vero che Berlusconi ha “controfirmato”, portandone la responsabilità politica, il decreto di nomina a senatore di Mario Monti; è vero, altresì, che i partiti maggiori hanno votato la fiducia al “Governo del Presidente”, ma tutto ciò non fa che aggravare la responsabilità nei confronti degli elettori e dunque verso il popolo sovrano.
La fallimentare situazione del sistema democratico italiano è, quindi, l’effetto così della pessima gestione del potere pubblico, come del conseguente disinteresse dei cittadini per la cosa pubblica.
E quindi è necessaria una generale presa di coscienza: i partiti riconoscano la paternità del disastro e smettano di prendere in giro il popolo; soprattutto diano finalmente ascolto ai cittadini e alla parte migliore di essi (ed è tanta). I quali, a loro volta, badino di più all’interesse generale e un po’ meno a quello particolare: insomma, più impegno serio e competente della classe politica, più partecipazione del popolo al governo del Paese.
Manca un anno alle elezioni politiche: tempo sufficiente ai partiti per progettare seri e fattibili programmi, da attuare subito, cioè, oltre la correzione dei compiti commissionati a Monti dalla Merkel, presentino piani di riforma politico-costituzionale, necessaria ed urgente, per allineare il nostro Paese alle democrazie efficienti e garanti del sistema democratico, oltre che dei diritti fondamentali dei cittadini.
Nell’agenda politica dovrebbero essere contemplati, per citarne alcuni: a) una drastica riduzione del numero e del costo dei parlamentari, più che dimezzati, nonché l’eliminazione dell’antidemocratica e costosa istituzione dei senatori a vita, compresi gli ex presidenti della Repubblica, b) un corposo taglio alla spesa pubblica, eliminando sprechi, benefici delle caste, ed attuando il taglio degli enti inutili o comunque non necessari, c) la previsione della responsabilità politica e giuridica che deve permeare tutta l’area di gestione del potere, non esclusa la Corte costituzionale.
I cittadini, per parte loro, si impegnino a partecipare al cambiamento, prospettando problemi e loro soluzioni; soprattutto, gli intellettuali mettano, senza interesse di parte, al servizio del bene comune le loro conoscenze e capacità operative: altra forma, questa, di partecipazione politica alla res publica, senza dubbio la più meritoria.
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