IN MEMORIA DELL’ITALIA ASSASSINATA

« Le véritable voyage de découverte ne consiste pas à chercher de nouveaux paysages, mais à avoir de nouveaux yeux. »
Marcel Proust

Thermai Himeraìai. “La Città affonda le sue radici in tempi remoti. Storia e leggenda si sono intrecciate nel tempo per segnare momenti che hanno esaltato la crescita culturale di una Città che è stata definita «splendidissima». “Legata ad Himera e alla sua affascinante storia, alle mitiche acque fatte sgorgare grazie alle belle ed ospitali Ninfe, seguaci di Minerva (la dea predilesse il contado Termitano-Imerese) per ritemprare le stanche membra del semidio Ercole. Le Thermae Himerenses (Termini Imerese, cioè Terme di Himera), dopo che i Cartaginesi nel 409 a.C. distrussero Himera e ne impedirono la ricostruzione, accolsero gli Imeresi e, così, alla popolazione indigena locale si aggiunse gente di origine greca e le due stirpi diedero vita ad un’unica popolazione.”

Non è per pigrizia che al posto di un incipit, l’inizio di questa nota è un copia-incolla preso da un sito, a fatica, dopo aver scavalcato ed escluso tutti i risultati riguardanti la Fiat.

Termini Imerese è una splendida città con una storia lontana e meraviglie nascoste. L’industrializzazione forzata del mezzogiorno ha disseminato in quella che fu la Magna Grecia, fabbriche laddove c’erano agrumeti dorati, spettacolari rovine, scorci di inimmaginabile poesia, civiltà sepolte. Sappiamo di dare un dispiacere ai sudisti doc, ma il disastro porto’ la firma di insigni meridionalisti locali: Compagna, La malfa, certamente in buona fede, pensarono che il futuro e lo sviluppo passassero dalla catena di montaggio, senza se e senza ma. Era lo spirito del tempo. I nostri genitori gettarono nelle discariche mobili e biblots dell’ottocento e li sostituirono con avveniristiche paccottiglie d’un’altra sciagura che andava materializzandosi: il contemporaneo design. Il resto lo fecero la speculazione edilizia e l’architettura moderna.

Pronipoti di quegli Imeresi illuminati che Montesquieu ricorda come autori del “più bel trattato di pace” (giacchè proibiva ai Cartaginesi, i sacrifici dei loro primi nati maschi agli Dei, sancendo cosi’ una norma a favore dei vinti), i cittadini di Termini cui la politica ha affibbiato per sempre lo statuto di metalmeccanici, si guardano intorno cercando il riflesso d’una speranza, senza vedere. Arriverà quasi certamente un’altra fabbrica, altrettanto inutile. La precarietà è anche questo. Sistemare oggetti senz’anima, costringere la gente a fare cose inutili, andarsene e lasciar tutti con un palmo di naso.

Gli anni 60 sono lontani. Ed è strano che a nessuno sia venuta in testa l’idea che una certa politica industriale è morta, che il mito della fabbrica fa pensare a Pellizza da Volpedo e che fare un paraurti di un’automobile – che è già di per sè un’arnese d’antiquariato laddove si potrebbe creare un polo turistico e di ricerca per nuove tecnologie – è solo una coazione a ripetere di nevrotici senza pensiero. I cinesi sono imbattibili ad assemblar bulloni sottocosto ma non hanno la valle dei Templi, Taormina, i Campi Flegrei, il satiro di Mazara del Vallo. Siamo tanto narcotizzati che da vent’anni si attende invano un piano di riconversione turistica per Bagnoli senza che gli abitanti della Campania Felix non abbiano mandato a calci in esilio politici, consorzi, società, comitati, tribunali, tribuni, tromboni, spazzatura d’ignavi che tengono in ostaggio una terra impedendole di dar frutti.

Egregio Professor Carandini, la sua domanda al Corsera: “Caro direttore, se il nuovo governo fondasse, in mezzo alla crisi, una politica della cultura?” non puo’ essere liquidata con la fiducia nelle amministrazioni periferiche dello stato e con lo sblocco delle assunzioni nelle Sovrintendenze. Le assunzioni non servono. Servono le idee e la volontà politica. Occorrono i sognatori, non i tecnocrati. Chi sogna non ha tempo nè voglia di lucrare sulla terra dei padri.

Certo, il piano casa è stata un’idiozia. Un’idiozia come la Fiat di Termoli, di Gioia Tauro (oh! le arance! Possibile che produciamo succhi di frutta schifosi e pieni di conservanti e i francesi hanno meravigliosi contenitori 100/100 frutta da conservare in frigorifero?) e di Termini Imerese. Lei è un archeologo ed un erudito: se chiude gli occhi tra la “cacca d’edile” prodotta da sessant’anni a questa parte le risorgeranno davanti le colonie romane, i loro templi, le Termae,i fori, le statue,il vasellame e i gioielli,i nostri alberi curvi sotto il peso dei frutti,i pini marittimi scolpiti dal vento,tutte quelle meraviglie che possediamo inconsapevoli spreconi senza bussola interiore.

Dal più alto al più basso livello della politica è tutt’un programmare al peggio, allo scontato, all’effimero. Anche Le Sovrintendenze, ahinoi, hanno la loro parte di colpa. Qui, nel sud, ci si conosce tutti, scontentare con un vincolo amici e conoscenti potrebbe essere scortese. Abbiamo avuto sovrintendenti fantasiosi che hanno applicato assai discutibili “restauri creativi”, periti di tribunale che certificano dietro compenso, con l’avallo delle sovrintendenze stesse, per trasformare dimore storiche in miniappartamenti in stile “unité d’Habitation” per favorire qualche proprietario briccone, centri antichi massacrati, strumenti urbanistici falsificati e leggi puntualmente disattese. E’ noto a tutti che dal tempo della famigerata 285 gli uffici periferici del ministero dei beni culturali sono superaffollati di funzionari di ogni livello. Se non hanno l’ufficio si accomodano sulle scale. Cosa fanno? Stazionano nei corridoi, fanno una fotocopia, prendono il caffè con imgegneri, geometri, politicastri, spostano le pratiche.

E se poi un benemerito Sovrintendente – ve ne sono, e tanti- giunge in qualche contrada con l’intento autentico di salvaguardare il territorio ed i suoi tesori, deve combattere con la magistratura. Stato contro stato a colpi di carte bollate ed il provvedimento spesso decade perdendosi nei meandri di questo orrore tutto italiano che si chiama giustizia amministrativa. Cito per tutti il Molise, dove Alfonsina Russo – esempio specchiato di colto sovrintendente – combatte corpo a corpo con la magistratura per salvare i meravigliosi siti archeologici di Altilia e Sepino minacciati dall’eolico selvaggio che li assedia con l’avallo dei giudici. Certo, anche l’eolico è una macchina per soldi e per fittizia occupazione. Certo, soldi anche per le casse dei Comuni che li utilizzano per brutture e clientele. Crede lei davvero che queste “disfunzioni assassine” possano risolversi con delle assunzioni? Non occorrerebbe piuttosto un “pentimento” collettivo su quanto è stato fatto, malissimo fin’ora? Si vuol vivere o sopravvivere? Vogliamo davvero continuare con la demagogia e con la retorica del muretto in cemento che cade a Pompei, oppure vogliamo aprire gli occhi e “vedere” la nostra terra? Guardandola con nuovi occhi potremmo accorgerci che molte cose puo’ darci se solo siamo attenti al messaggio costante d’una bellezza che non vuol morire e che vuol diventare ricchezza. E’ tempo di ascoltare la voce delle pietre, degli alberi, dei borghi addormentati, delle pievi nascoste e far tacere quelle dei sindacati, dei burocrati, degli asini presuntuosi. Di Diodoro Siculo, non della Camusso. Di Petronio Arbitro, non di Pomicino. E le assunzioni arriverebbero, e come, funzionali ad una grande pianificazione per una industria diffusa della bellezza. Anche per gli Imeresi, come per tutte quelle popolazioni smemorate dalla cattiva politica, ci puo’ essere riscatto. Sfido i cinesi a competere. L’incanto dei luoghi, il soffio dello spirito della storia non sono alienabili nè riproducibili. E’ l’uovo di colombo. Solo che nessuno ci pensa o vuole pensarci. E’ stato il solito Sgarbi a dire che occorrerebbe accorpare il ministero dell’economia a quello dei beni culturali. Stravaganza? Peccato non ci abbia pensato a tempo e a luogo il Cav, cosi’ affezionato ad Erasmo. Non ci penseranno certo i contabili. E tanto meno i cittadini della Magna Grecia, ridotti in schiavitù dal più pernicioso dei flagelli: l’oblio.

La politica è legge della domanda e dell’offerta. Noi chiediamo clientele e clientele otteniamo. Chiediamo assistenza, e assistenza ci danno. Non chiediamo pensiero. Non idee, non passione, tanto meno cultura. Il vero fallimento è l’abdicazione.

Angela Piscitelli
Zona di frontiera, 2 Dicembre 2011


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