LA CASA DEL FUGGIASCO – di Angela Piscitelli

La memoria è tesoro e custode di tutte le cose.
(Cicerone)

 

Volverán las oscuras golondrinas
en tu balcón sus nidos a colgar,
y otra vez con el ala a sus cristales,
jugando llamarán;

pero aquellas que el vuelo refrenaban
tu hermosura y mi dicha al contemplar;
aquellas que aprendieron nuestros nombres,
esas… ¡no volverán!

(Gustavo Adolfo Bécquer)

 

Dietro il muro di pietra, e quel balcone che aperto si ostinava ad imprigionare la luna sottraendola al cielo per farne dono al villaggio, ancora si nasconde un sogno. La casa del Fuggiasco era stata colpita da una bomba, ma la facciata era restata intatta, come se l’ordigno avesse voluto risparmiare le singolari proporzioni e la stravagante armonia del cuore del centro antico. La torre campanaria, posta innanzi alla Chiesa Madre e quel rudere modesto e gentile continuano a farsi compagnia quando scende la notte.

Ma qui non abita più nessuno.

Il paese è giù. La nuova sede comunale sbilenca, casette informi e pretenziose, un lagher per anziani nella vecchia scuola media a cui l’impresa, durante la ristrutturazione, ha strappato, senza alcuna ragione, un glicine secolare. Gli anziani sono una risorsa per i politici, ma solo se sono rinchiusi, mercificati, spogliati di memoria e di dignità. Un fiore potrebbe suggerire loro che fuori c’è ancora la vita, per tutti e per tutti un sorriso. Ma le nequizie non sono finite. Una palestra gigantesca, un’aula per convegni inesistenti, scatoloni di cemento senza forma e senza idee. Un sindaco disse, qualche tempo fa: “rimbocchiamoci le mani, il paese deve andare in cronaca rosa.”

Se ogni tanto gli antichi muri rivelano un impercettibile cedimento, l’amministrazione comunale arriva solerte con la ruspa e rade al suolo un pezzo di storia. E’ la stessa soluzione finale che si pratica con i cani abbandonati, che nella bella stagione, sbattuti fuori dagli sportelli in corsa, vengono a chiedere umilmente tra i vicoli, asilo e avanzi. Naturalmente il villaggio è collegato ad altri consimili da una strada: “la provinciale (e sottolineo, Provinciale) Garibaldi. Sarà per antipatia incoercibile verso il generale in camicia rossa che, pur costando un cifra blu per allargamenti, bordi di cemento, rotatorie, asfalti, la “Provinciale” continua a far bozzi, a franare, a spezzarsi a rischio dei temerari automobilisti; oppure è che la Provincia, della provinciale e dei suoi cittadini, se ne straimpipa e preferisce andarsene in Australia a far convegni sul marsupio dei canguri?

C’è una linea ideale che spezza dall’alto Lazio alla costa abbruzzese l’Italia in due. L’inferno è in basso.

Ora il battaglione degli eletti di province e comuni, marcia compatto a difesa delle sue prerogative tra le quali annovera, con insistenza, l’identità locale. Eppure da cinquant’anni costoro non fanno altro che mortificare, per lucro e per stupidità, il carattere dei posti e la loro storia. Sono vandali autorizzati ed il loro vandalismo si estende perfino alla toponomastica, nella cancellazione sistematica dei nomi antichi, che tutto dicevano di quelle contrade. I manovratori di denaro pubblico non vanno disturbati. Se qualche volta, per puro caso, viene eletto un diverso, il sistema lo espelle additandolo al pubblico ludibrio. Con plauso delle cittadinanze.

Dietro la Casa del Fuggiasco, dove ora la sterpaglia copre le rovine e il ricordo, qualcuno penso’ che consevando quella facciata cosi’ singolare, il nome curioso e le strutture esistenti, con poca spesa e qualche idea, si sarebbe potuto creare un teatro all’aperto. Intorno, le case medioevali sarebbero state risistemate e sarebbero servite come alloggio agli allievi musicisti ed attori che avrebbero in cambio fatto concerti e rapresentazioni. Due bravi e generosi architetti napoletani, gratuitamente fecero il progetto. Con il Castello ed il teatro il villaggio avrebbe potuto assicurare ai turisti una lunga stagione di vacanze tra natura, cultura e gastronomia.

Il diniego fu unanime. Bipartisan e senza appello. Salvare un centro antico? Giammai! Dare una prospettiva di sviluppo al paese? Nemmeno per sogno. Conservare e valorizzare identità e risorse per renderle produttive? Ma siamo matti? Assunzioni di massa al Comune, cementificazione ad oltranza, assistenza, assistenza, che tanto paga Pantalone. Con i soli viaggi studio che ogni anno i solerti amministratori si concedono, i gemellaggi ed altre castronerie varie (dovrei dire avariate) si potrebbe far ripartire alla grande il turismo in una grossa fetta del mezzogiorno. Invece partono loro a strapanzare in allegria, col pretesto di far visita agli emigrati.

In una terra ove tutto è possibile e lecito tranne che progettare sensatamente il futuro, la parola “identità” spiattellata come contraltare all’accorpamento ed all’abolilizione possibile di qualche ente nocivo, è una bestemmia ed un insulto all’intelligenza. Provate a chiedere a qualcuno di questi tribuni al caciocavallo, quale sia l’identità del suo paese d’origine, e quali monumenti od opere d’arte esso custodisca, se sia sannita, osca o romana, la sua origine. Strabuzzerà gli occhi e girerà sui tacchi, inabissandosi in un quartetto di “padrone e sotto”.

Solo le vecchie pietre restano a parlare di cio’ che furono quelli che oggi non sono, vantandosi di essere. Scritture sacre per la collettività che vanno perdendosi. La facciata della Casa del fuggiasco è ancora in piedi. Il teatro non c’è, ma lo spettacolo della luna si ripete a cadenze regolari per lo spettatore poeta che sappia ancora commuoversi. Farà attenzione a che il rumore dei suoi passi sul selciato, non rompa l’incanto del racconto che i luoghi gli sussurrano all’orecchio.

Amministrare vuol dire costruire con l’eredità che il sudore di altri ci ha lasciato, non sperperarla ed attendere, tra un trastullo ed un altro, che qualcuno ripiani in eterno i nostri debiti di gioco.

La politica da tempo ha bandito il buonsenso: non solo non sa rispondere, ma non sa nemmeno domandare. Invece si dovrebbe, oggi, per tacitare i gaglioffi, chieder conto e ragione di come finora l’eredità, che è anche la nostra, è stata amministrata. E di quello che anche adesso, mentre scriviamo, continuano a fare per riempire il sacco del bottino prima che sia troppo tardi. Ci vuole un gran lavoro, certo, ma bisogna lasciare in vita solo e soltanto quelle municipalità sagge, virtuose nell’investire per produrre, attente alle risorse umane di tutte le età, che sanno cosa vuol dire progettare il futuro, e che conoscono il significato della parola identità. Per le altre, la perdita del Comune sarà una grande, inaspettata opportunità: quella di ritrovare il filo della memoria e dell’amore per la propria terra, uscire dal circolo vizioso d’una connivenza dove solo apparentemente la convenienza è reciproca. L’illusione del “cliens” è perfino patetica: gli usurai prestano, non regalano. E gli interessi sono alti.

La casa del Fuggiasco, metafora di pietra dei sogni oscurati del nostro amato e detestato mezzogiorno, è ancora li. Se tendete l’orecchio sentirete la sua voce, malferma eppure chiara, dice: “democrazia, forse. Demagogia mai più. E poi suoneranno le campane.”

 

Angela Piscitelli, 23 agosto 2011
Zona di frontiera (Facebook) – zonadifrontiera.org (Sito Web)

Angela Piscitelli
Zona di frontiera, 23 Agosto 2011


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