IL SONNO DELLA RAGIONE

E’ da più di cinquant’anni che alcune società europee (italiana e francese in primis, ma con fortissima prevalenza di quella italiana), sembrano seguire una strana legge: una sorta di diastole/sistole – di lunghissimo periodo – che corrisponde ad un progressivo ottundimento collettivo, poi seguito da un brusco ritorno ad una più o meno fisiologica normalità (?). Come se la società fosse costituita da un immenso otre che via via va riempendosi di chiacchiere inani, ma che alla fine, sul punto di scoppiare, si sgonfia per un qualche casuale, provvidenziale evento. E via daccapo. Accadde con la lunga diastole del ventennio fascista, dove la brusca sistole finale fu costituita dalla guerra perduta. L’immagine che più icasticamente descrive il processo è forse fornita dal sonno delle persone anziane: seduto sulla seggiola, il vecchio s’addormenta e lentamente quasi capitombola giù’, ma ecco che di tanto in tanto uno strattone inconscio gli raddrizza la spina dorsale. E puo’ continuare a lungo, se nessuno lo aiuta ad uscire da questo mesto pendolarismo!

A cominciare dagli anni ‘50 del secolo scorso, la sequenza sopra descritta ebbe inizio in modo molto chiaro. Il dogma centrale di questo incipiente e poi inarrestabile conformismo fu e poi rimase sempre il medesimo. Era il dogma collettivista: la società si compone di individui il cui solo carattere differenziale è il tipo di rapporto economico, ovvero «di classe»; tutte le altre differenziazioni non sono che false particolarità, distinzioni solitamente create per interessati fini ideologici. Ne veniva fuori una rigida «miliarizzazione» sociale, un rigido atomismo economicista, che negava ogni raggruppamento per cultura, individuazione storica, diversità di origine etc. Interessante, a questo proposito, la severa negazione di ogni concetto di tradizione e, inutile dirlo, di ogni determinazione di razza. Questa seconda aporia (= aporia, perché le razze esistono e come, anche se è più che vero che la forma del naso o il colore della pelle non predeterminano e non devono predeterminare il destino dell’individuo) resiste ancora: ha dato vita ad uno dei dogmi del nostro tempo.

A quei tempi lavoravo in un ambiente che poteva ben definirsi di cultura per antonomasia: eppure, parlare di tradizione (ch’è l’asse portante del concetto stesso di cultura) era come bestemmiare. Omai non ci si rifaceva che a maîtres à penser di seconda e terza scelta (ne taccio i nomi per noia), non si citavano che opinioni e detti in linea con le baggianate imposte. Ci cadevano ormai anche le persone intelligenti. Ricordo Albert Soboul, da me spesso incontrato a Napoli, che levava il dito ad ogni pie’ sospinto, avvertendo : « Di ogni fatto va anzitutto ricordata la base economica, neh!?» Molti poi si uniformavano per paura, o per quieto vivere («per quieti viveri» mi dichiaro’, con comicità involontaria ma con preciso lapsus, la moglie d’un «intellettuale » del Cilento).

Dall’atomismo economicista si passava agevolmente ad altri dogmi altrettanto obbligatorî: quello del rispecchiamento classista e dunque della radice pratica e sociale di ogni fatto di cultura e d’arte (era questa la amusίa ai quei bei tempi strettamente comandata); quello della negazione d’ogni capacità di creazione nelle vicende storiche: la storia era non (come invece è) il campo della libera invenzione, ma quello della necessitata legge di sviluppo, che, tanto per cambiare, ancora una volta era deterministica e, ancor più, economicista.

Il clima andava facendosi, alla lettera, sempre più chiuso ed irrespirabile. Ed è in questo piacevole spazio chiuso che, all’inizio degli, anni ’60, esplose la moda strutturalistica che, da un certo preciso punto di vista, consentiva in modo ancora più agevole di dare d‘ogni forma di espressione, linguaggio, arte, creazione, una spiegazione non «creativa», non di libertà individuale, ma bensi’ strettamente «deterministica». Questo avvento dello strutturalismo chiuse e saldo’ il tremendo cerchio di ferro di quella triste moda. Una vera e propria cretinaggine collettiva si impadroni’ delle menti -: stramba cretinaggine perché, come ho già detto, molti, nel loro foro interiore, sapevano bene trattarsi di falsità pura, ma tutti e ciascuno assentivano, seguivano la china a scanso di guai. Ricordo che in molte aziende, la mia inclusa, si inizio’ a organizzare corsi periodici, magari annuali, di indottrinamento strutturalistico (!). Donde comicità spinta: il criptolalismo divenne tale, che tutti potevano metterci bocca infilando centinaia di parole prive di senso, purché queste appartenessero al vocabolario d’obbligo e rispettassero i due suddetti dogmi della negazione della libera creatività individuale e dell’affermazione dell’origine deterministica di tutto il reale, il reale pensato e quello pensabile.

Intendiamoci : lo strutturalismo, entro i suoi limiti di scienza descrittiva ed esplicativa dei fenomeni linguistici, era cosa buona e seria: e tale resta ancor oggi, se si pensa a certi lasciti irrinunciabili delle teorie del De Saussure e di epigoni quali lo Hjeilmslev della scuola di Copenhagen, del funzionalismo di Martinet, di Benveniste, della scuola di Praga etc. etc. Di tutto cio’ io divenni quasi «esperto» per ragioni strettamente pratiche: e cioè per non farmi mettere i piedi i testa dal primo ignorante che si trovasse a passarmi innanzi. Giunsi al punto di tenere a mia volta, in una elegante libreria del centro di Roma, una conferenza sul ricco argomento, conferenza della quale non mi vergogno perché, ripeto, la teoria contiene un nucleo di rilevamenti empirici di tutto rispetto. E per il resto, bastava mandare a memoria alquante dicotomie (infatti lo strutturalismo funziona per ragionamenti oppositivi) e ci si poteva imbarcare con certa facilità nel galimatias inerente. Ma – direi: per fortuna – ormai ho quasi dimenticato tutto.

Cio’ che non andava era invece il fatto mostruoso, e assai idiota, di promuovere lo strutturalismo a filosofia, onde puntellarne con ricchezza di nuovi argomenti il determinismo in voga. In breve: la situazione di scimunimento collettivo, vero, o simulato per prudenza, stava superando ogni limite…, quando ecco giunse – dopo tanta prolungata «diastole», l’attesa «sistole»… E fu la caduta del muro di Berlino, che produsse una selva di episodi «paraculturali» di comicità irresistibile. La religione alla moda crollo’ di colpo, e l’immensa miriade dei suoi sacerdoti, con tanto di bernoccoli provocati sulle proprie zucche dalle pietre del muro, cambio’ fede dalla sera alla mattina. Tutti si risvegliarono simulando sincera irrisione dei determinismi ed immanentismi tutti, culturali e non, dogmi fino a ieri non trasgredibili. E fu allora che io, e con me tutti i liberamente opinanti, potemmo misurare, sbigottiti, quanto sia ampia la capacità umana di mentire, di falsificare e di falsificarsi con svergognata agilità…, appunto per quieti viveri, come diceva la succitata signora del Cilento.
I gauchisti al caviale del tempo si trovarono bruscamente a mal partito, «culturalmente» orfani…, ma ecco che giunse in soccorso un’altra vergogna nazionale: la Democrazia Cristiana. I DC avevano collaborato con la Sinistra per lo spartimento del potere (=a noi l’amministrazione dello Stato, a voi quella della Cultura), e si resero conto che, senza il Gatto, la Volpe si sarebbe trovata allo scoperto. Quindi il momento della «caduta del muro», che avrebbe potuto essere quello del salutare svergognamento della menzogna, divenne invece quello della «sordina» generale, del comprensivo sorrisetto di conferma della menzogna, e insomma dell’ ipocrita vescovile perdono ecumenico.

Ed eccoci a noi: «gira gira ‘a manuvella, ‘a canzon’è sembe chella!» Fin da subito, precisamente nello stesso 1989 ricomincio’ quel lunghissimo periodo di «diastole», di organizzazione della menzogna cultural-politica, nei media, nelle università, nei tribunali, insomma in tutti i punti nevralgici della «organizzazione della cultura» (Gramsci), che è la « diastole » che oggi tutti di bel nuovo ci stringe e sta riattingendo limiti di irrespirabilità culturale e di ipocrisia organizzata simili a quelli che crollarono (anche se messi subito «in sordina») nel remoto 1989. Se i conti tornano, s’è trattato d’un primo ciclo di anni 40 al quale potrebbe o dovrebbe seguirne un altro che durerà o durerebbe fino al 2030… Si’, ogni quarant’anni, come le eruzioni del Versuvio…!
Per fortuna, proprio il fatto che la storia è libertà, e non mai determinismo e pertanto ripetizione, proprio la storia potrebbe e potrà farci sperare che la faccenda questa volta vada altrimenti. Ma l’orizzonte è nero.
Intanto, i maîtres à penser del presente nuovo ciclo sono già pronti: Indro Montanelli (ex-fascista divenuto correct dopo la baruffa con Berlusconi), Enzo Biagi (quello che diceva trenta volte: «zero»), e tra i viventi ‘Onn’ Eugenio ‘a Macchietta ed Adriano Celentano… Tutto è pronto per inoltrarci in una nuova sagra di intelligenza.

Leonardo Cammarano, 28 maggio 2011
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Leonardo Cammarano
Zona di frontiera, 29 Maggio 2011


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