DALLO YUPPISMO AL PRECARIATO

Da anni il panorama economico e sociale in Italia è cambiato. Un tempo si guardava al commerciante o all’artigiano come ad un fortunato, un privilegiato che poteva accedere a delle ricchezze precluse ai condannati al reddito fisso. Oggi è vero il contrario, è il dipendente pubblico ad essere invidiato, iper tutelato, dallo stipendio garantito. In verità il desiderio del posto stabile c’è sempre stato, ma negli anni ’80/’90 era un mito riservato più ai genitori che ai figli. I primi vedevano nella modesta tranquillità impiegatizia statale o para-statale la serenità di aver “sistemato” il figlio; i secondi – anche allora minoranza, sia chiaro – sognavano con baldanza giovanile di farsi strada da soli in un mondo che offriva loro i miti dello yuppismo e dei guadagni facili. Sembrava bastasse un po’ di fortuna, d’incoscienza e d’intelligenza. Ma a vent’anni tutti si sentono belli e intelligenti, fortunati ed immortali.

La new wave – rivincita tecno-pop alla meteora punk nichilista – imperversava; la letteratura era easy, minimalista, non alla Hemingway per intenderci, ma di quel minimalismo permeato dal vuoto pneumatico di idee e valori che subiva con disagio una vita opulenta alla “Less than zero” di Bret Easton Ellis. Appunto, meno di zero. Forse quei segnali di smarrimento avrebbero dovuto già metterci in allarme. Subito dopo i profondi significati filosofici e spirituali classici, faticosi da far sanguinare il cervello, verranno superficialmente ruminati in un melting pot indistinto per essere risputati in una forma commerciale di spiritualità per le masse che univa ufologia e cristianesimo, induismo e sciamanesimo castanediano. Si dava alle stampe “La profezia di Celestino” – forse il più inutile libro della storia – e nasceva la New Age, morbo non ancora del tutto estinto.

Siamo (anche) figli di quel tempo, di una società che non sapendo affrontare la complessità dei problemi li ha semplificati, illudendosi così di aver esorcizzato le proprie paure e inadeguatezze. Ma almeno in quell’epoca un sogno, per quanto sgangherato fosse, c’era. Chi non trovava lavoro diveniva imprenditore di sé stesso, scommettendo sulla sua incoscienza e sulla sue ancora presunte capacità.

Oggi non rimane nemmeno quello. Lo Stato ha distrutto la micro impresa e gli artigiani, sostituendoli con uno stabile, incancrenito precariato. Ottusamente si è cercato di far fronte ai bassi costi della manodopera indo-cinese creando una classe di lavoratori sottopagati e sottotutelati, iper-titolati (per inerzia e assenza di prospettive concrete), ma sotto utilizzati. Gli imprenditori di sé stessi non esistono più, annichiliti e spaventati da norme e gabelle. Uccisi sogni, speranze, intraprendenza.

Lo Stato, che mai si è comportato da alleato, è diventato oggi il primo nemico della libera iniziativa. Il sistema fiscale attraverso il braccio armato di Equitalia – giustificata figlia di una sub-cultura di sinistra che per anni ha descritto ogni partita Iva, ogni artigiano, ogni piccolo commerciante come un ladro – agisce da sceriffo di Nottingham ed ha prodotto una involuzione devastante. Oggi si lavora meno perché più ci si agita, più ci si dà da fare, più salgono i costi e più si diventa visibili. L’unica possibilità di salvezza è quella di non farsi notare, di passare inosservati, quindi di fatturare poco, muoversi il minimo, consumare meno del necessario. Lavorare meno non per lavorare tutti, ma come estremo e disperato tentativo di sopravvivenza.

Invece di sgomberare ostacoli e creare infrastrutture, questo Stato ha investito in controlli fiscali sempre più raffinati e complessi che si sono riversati sul piccolo imprenditore, schiacciandolo con complicati adempimenti, sottraendogli tempo prezioso alla sua attività produttiva.
L’ “intelligenza delle mani”, la specializzazione, l’arte e la genialità sono state sostituite dall’uniformazione dell’individuo e dei suoi compiti; ogni lavoratore non ha più peculiarità alcuna se non quella d’essere facilmente sostituibile, meno necessario di un dépliant in un centro commerciale.

Gli astrusi giochi della finanza, le banche, le basilee hanno spinto i fatturati e non il margine, creando i presupposti per dubbie alchimie come le triangolazioni sul valore aggiunto ed ora, fallito tutto ciò, scoperto fosse solo fumo, non ci rimane nemmeno l’unico rifugio di ogni crisi: il prodotto e chi è capace di crearlo.

(parte prima/intro)

Paolo Visnoviz, 9 maggio 2011
Zona di frontiera (Facebook) – zonadifrontiera.org (Sito Web)


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