La crisi dell’Europa e le paure tedesche

Dalla zona euro stanno arrivando segnali altalenanti. Dopo il salvataggio della Grecia, i ministri delle Finanze della zona euro, hanno un nuovo problema; il salvataggio di un paese senza governo.

La situazione del Portogallo, privo di esecutivo, dopo che il Parlamento di Lisbona ha respinto il piano di rigore domandato da Bruxelles, é sicuramente la piu’ critica. I partiti preparano le elezioni del due giugno e nessuno si vuole assumere la paternità di misure impopolari. Il Portogallo difficilmente potrà fronteggiare i suoi fabbisogni da aprile a giugno, stimati a circa nove miliardi di euro. E’ facile prevedere che bisognerà attendere l’esito delle urne per siglare quel patto con l’Unione Europea che prevede un piano di salvataggio contro un piano di rigore nella spesa pubblica.

La Spagna va un po’ meglio del Portogallo. Il direttore del FMI, Dominique Strauss-Kahn ha recentemente dichiarato a « El Pais » che «le politiche intraprese da Madrid sono corrette ». Il debito pubbllico, che rappresenta il 62% del Pil, resta inferiore alla media dell’Unione Europea e il governo di José Luis Rodriguez Zapatero, nell’ultimo anno ha moltiplicato le riforme, dal mercato del lavoro, a quella delle pensioni, passando per l’aumento dell’Iva. Tuttavia le previsioni di crescita restano basse e i salari non potranno conoscere aumenti ancora per un po’.

Il peggio sarebbe passato per l’Irlanda; dopo l’annuncio della ristrutturazione del sistema bancario con l’iniezione di altri 24 miliardi di euro, qualche segno positivo si é visto. I tassi di rendimento sul debito irlandese sono scesi dal 10% al 9.3%. Ancora molto alti ma almeno la tendenza si é invertita. Resta da sciogliere la controversia con Bruxelles sull’imposta delle società, attualmente al 12.5% contro il 33.33% della Francia. Bruxelles chiede di portare il tasso ad almeno il 16% ma da Dublino Lucinda Creighton, ministro degli affari europei fa sapere che « la risposta é no. Abbiamo consultato le aziende farmaceutiche in Irlanda. Per loro il tasso d’imposizione é una ragione vitale della loro presenza nel nostro territorio e anche un aumento, sia pure di un solo punto percentuale, rappresenterebbe un grosso problema».

Intanto la stabilità dell’Europa é minacciata dalla Germania. Jacques Attali avverte che é, paradossalmente, la Germania a rischiare di piu’ da una eventuale crisi europea. Dopo vent’anni di sforzi per pagare i costi della riunificazione, la Germania -ammonisce Attali- si crede fuori pericolo; poca disoccupazione, molte esportazioni, un’industria automobilistica che genera un valore aggiunto sei volte superiore a quello dei concorrenti francesi. Inoltre la Germania puo’ contare sulla fiducia dei mercati che le concedono prestiti a tassi molto bassi. Quindi la cancelliera Angela Merkel non sembra disposta a mettere in pericolo la stabilità finanziaria tedesca, finanziando i deficits delle nazioni che non hanno fatto gli stessi sforzi.

Attali spiega che lo sforzo che deve fare l’Europa é far capire ai tedeschi che la crisi dei paesi europei causerà la rovina della Germania, perché la maggior parte delle esportazioni tedesche sono rivolte a quei paesi, e perché le sue banche hanno prestato molto a paesi che rischiano la bancarotta. Senza contare che la sua demografia é disastrosa, che il suo debito pubblico é uguale a quello della Francia e che la sua industria ha dei punti deboli ( per esempio é molto impreparata sulle tecnologie necessarie per la macchina elettrica). La disoccupazione é bassa grazie all’enormità di sovvenzioni pubbliche. Un altro segnale inquietante; solo il 30% dei tedeschi nati dopo il 1974 ha un diploma di scuola media superiore e il 50% dei giovani non é abbastanza qualificato.

Attali conclude il suo ragionamento spiegando che sarebbe suicidario litigare per sapere chi finanzierà questo o quel debito pubblico, quando la speculazione li prenderà tutti di mira, e litigare per sapere chi venderà un treno a Eurostar quando incombe la minaccia della concorrenza cinese. L’Europa dovrà dotarsi di una vera politica industriale e di un’integrazione budgetaria, altrimenti sarà inevitabile la corsa verso il disastro.

 

Andrea Verde, 18 aprile 2011

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Andrea Verde
Zona di frontiera, 18 Aprile 2011


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