Otto Von Marzen




Ma un asin bigio rosicchiando un cardo

Rosso e turchino, non si scomodo’

Tutto quel chiasso ei non degno’ d’un guardo

E a brucar serio e lento seguito’



Neanche sotto  tortura mi vedrete mai agitare il mazzettino di mimose o partecipare a quei ginecei serali tra cori stonati, mazurke unisex, e professioni appassionate sull’inutilità dell’uomo e sulla di lui acclarata e colpevole inferiorità esistenziale. Consideratemi pure una leghista secessionista a cromosoma xx, ma il festeggiamento coatto proprio mi sta sul gargarozzo.

Nonostante l’origine dubbia (mater certa est, pater numquam) la festa aveva un senso finché si festeggiava Ma ora  serpeggia, nell’universo femminile una vocazione alla penitenza, un desiderio irresistibile di ragnatele corazzate (potemkin, la migliore marca: impenetrabile) un’anoressia sessuale che costringe quelle come me, gaudenti ed abbondanti, a sedute supplementari di ceretta, per crescita inarrestabile di folta barba.

Fiori gialli e quote rosa non riescono a colorare un orizzonte appiattito da un solo comandamento: non fornicare.

Avendo frequentato la scuola cattolica, i comandamenti li conoscevo a memoria già dalle elementari. La cultura si formava così, incamerando nozioni misteriose che poi si sarebbero aperte, come fiori negli anni inseminate da altre nozioni che pian piano creavano un praticello.

Nessuno di noi piccoli aveva la benché minima idea di cosa significasse questo “non fornicare” dal suono a  me pareva non si dovesse far qualcosa di veramente orribile che faceva la formica, che pure sembrava una bestiolina operosa e simpatica. Ma tutti possono avere gli scheletri nell’armadio, anche le formiche.

Più grandi, fornicammo anche noi, e molto fornicavano le femministe, contestando il rossetto e il reggiseno, cercando di ridurre l’oggetto del desiderio a usa-e-oggetto.

In fondo la mimosa è un fiore sensuale con il suo profumo sinuoso e persistente. Un fiore che sorride, e mal s’appone a visi ingrugniti a punizioni esemplari, vendette. Non si addice ad un universo femminile senza allegria, senza malizia e senza complicità, a signore che rivendicano poltrone per quota, estrogeni e poi criminalizzano le altre signore che non rivendicano un bel fico secco ed usano i loro estrogeni in libertà. Non vorrei che una quota (è di moda) di italiane si fosse trasformata in un esercito di governanti tedesche saccenti, dottrinarie, con le anime baffute e le mutande ascellari allergiche al potere della fantasia, dimentiche della fantasia al potere.

Festeggiassero pure tra loro. Io che compero mimose tulle volte che posso per inebriarmi del profumo e ricordarmi che il mondo è pure bellezza, domani rosicchierò un cardo rosso e turchino, senza scomodarmi. Sono un’asina, e me ne vanto.

Angela Piscitelli – 7 marzo 2011

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Angela Piscitelli
Zona di frontiera, 7 Marzo 2011


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