MUTAZIONI GENETICHE DELLE CANZONI D’AMORE: PROPOSTE LINGUISTICHE

«per il poeta che non può cantare
per l’operaio che non ha più il suo lavoro
per chi ha vent’anni e se ne sta a morire
in un  deserto come in un porcile
e per tutti i ragazzi e le ragazze
che difendono un libro, un libro vero
così belli a gridare nelle piazze
perché stanno uccidendo il pensiero
per il bastardo che sta sempre al sole
per il vigliacco che nasconde il cuore
per la nostra memoria gettata al vento
da questi signori del dolore»

Confesso. Io sono sensibile alle bande ai teleromanzi e pure ai festivals. Perché ognuno è il suo passato e per me Sanremo si è fermato a quella sera che vinse la diciottenne Gigliola Cinquetti. Con quella vocina acerba un po’ soave un po’ gutturale incanto’ la famiglia al completo schierata compatta in assetto televisivo. E naturalmente anche me, anni 11, che in quella adolescente timida vidi istantaneamente me stessa, solo un po‘ più grande, che non aveva l’età e pero’ cominciava ad amare.

E poiché ogni età ha il suo amore anche stasera, mentre sott’orecchie facendo altro, mi è giunta l’esortazione del vincitore: ”chiamami ancora amore!” – c’è poco da fare – il cuore ha vibrato con quel ritornello li’, un po’ perentorio ed implorante fatto apposta per squinternare le signore di antica menopausa, ohibò, mi sono commossa, e di bel nuovo, immedesimata, questa volta nel signore attempato con gli occhiali affetto, come me, da romanticismo cronico.

Cribbione! Che bella canzone,mi sono detta, perché il ritornello è tutto. Chi fa caso e ricorda le strofe iniziali di tutte le glorie musicali? Nessuno. I ritornelli invece, sono indelebili. Sono costruiti per dare il brividino, per essere canticchiati allo specchio brandendo il rasoio, ed anche per farci sciogliere in lacrime liberatorie perché s’incastrano bene con i nostri rimpianti. Vero è che non ci sono più i ritornelli di una volta.

«Ciao, ciao bambina, un bacio ancora, e poi per sempre ti perderò,come una fiaba l’amore passa….» sublime e capace di spodestare il titolo – piove – che resta come scenario umido, leggermente intirizzito di tutte le anime malinconiche innamorate a vuoto.

«chiamami ancora amore
chiamami sempre amore
che questa maledetta notte
dovrà pur finire
perché la riempiremo noi da qui
di musica e di parole»

Fin qui, l’esortazione del vincitore è fabbricata in modo giusto. Perché tutti abbiamo una stramaledetta notte quotidiana, fatta di delusioni, deserti interiori, lontananze che chiedono musica che le renda meno penose da vivere.

Pero’, con tutto il rispetto e con molto cinismo, come lo giudichereste voi un moroso che chiede di essere apostrofato “amore” perché il poeta non può più cantare? (perché? faringite o censura? E se censura, dove? Sarà faringite)

Giuro, nella mia vita non ho mai visto nessuno che scende in piazza a difendere un libro, e non mi è mai capitato nei momenti romantici di pensare ai giovani urlatori di piazza, piuttosto ad una rotonda sul mare. In compenso mi sento piuttosto bastarda, perché “compatibilmente” con i miei doveri di casalinga e di moglie, al sole ci sto sempre, fosse solo per piantar narcisi e lavande. Avrei capito se avesse gorgheggiato: ”per quel bastardo che si fa la lampada”, quello sì, nell’ottica della rivoluzione proletaria è meno corretto.

E poi, i signori del dolore, chi sono? M’immedesimo nella destinataria della canzone per capire. Se la destinataria è la Boccassini, allora si capisce, il perfido signore del dolore chi è. Ma per una signora o signorina comune “amore” fa spesso rima con “dolore”, con “signore” mai. E il mio pensiero fugge nostalgico al grande Mario Merola e “a tutti ‘sti signuri incruvattati, a chesta cumitiva accussi’ allera, d’uommene chicche e femmene pittate, del suo fantastico e dolente Zappatore, quello che non dovrebbe scordarsi la mamma, e invece se la scorda.

Prima esistevano le canzoni d’amore,e la canzoni politiche. Sanremo ieri ha consacrato un nuovo genere: la canzone d’amore politicizzato. D’ora in poi, se le nostre faccende sentimentali non vanno per il verso giusto, sapremo a chi dare la colpa – sempre a lui! – non più alla Gradisca di turno che occhieggia nostro marito, non al “buonasera dottore” e neanche alla lontananza che è come il vento.

Suggerisco alla Crusca di sostituire la parola “amore” con un neologismo a scelta: ”amoroni” oppure “amoriere”. Cosi’ la rima viene più facile.

Angela Piscitelli
20 febbraio 2011

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Angela Piscitelli
Zona di frontiera, 20 Febbraio 2011


2 commenti a “MUTAZIONI GENETICHE DELLE CANZONI D’AMORE: PROPOSTE LINGUISTICHE”

  1. Rita Monari says:

    Fantastico e complimenti


  2. Adriana Redolfi says:

    Angela, veramente bello


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