FUGA DAL FUTURO


L’incrociatore “Futuro e Libertà per l’Italia” affonda al momento del varo. Dopo Giuseppe Menardi è data per certa anche l’uscita di Franco Pontone, Mario Baldassarri e Maurizio Saia. Significa l’affondamento certo del gruppo di FLI al Senato, mentre alla Camera trasloca nel gruppo del PDL Roberto Rosso. Paolo Guzzanti abbandona Fini e aderisce al gruppo dei Responsabili alla Camera. Anche Luca Barbareschi è dato per certo in uscita dal partito e gli ormai ex amici di FareFuturo lo cancellano addirittura dai contatti di Facebook. Ma la frana coinvolge anche altre componenti del Terzo Polo, infatti pare imminente la costituzione di un nuovo gruppo al Senato denominato «Per le Autonomie», frutto di una scissione con la componente dell’Udc.

La fuga da FLI viene imputata alla nomina di Italo Bocchino ai vertici del partito, ma evidentemente ciò non può essere altro che il casus belli. Infatti da tempo era in corso una guerra tra falchi e colombe, vinta dai primi portando i fliennini allo scontro frontale del 14 dicembre scorso contro il governo. Quella battaglia fu persa per soli tre voti, ma già in quell’occasione uscirono dal partito Catia Polidori, Maria Grazia Siliquini e Silvano Moffa.

Dopo quella data il danno maggiore per la compagine futurina sono stati i pesanti distinguo giunti da parte di Alessandro Campi e Sofia Ventura. Critiche e distinzioni in direzione delle scelte di Gianfranco Fini che si sono spinte fin sull’orlo di una definitiva rottura.

Tutto questo è solo quello che si vede in superficie, in realtà lo sfaldamento di FLI ha radici più profonde e diverse dalle accuse del Presidente della Camera di mera compravendita di deputati e dallo strapotere economico/mediatico – comunque innegabile – di Berlusconi.

Il manipolo finiano è nato da una profonda spinta antiberlusconiana, inedita e di centro-destra, sulla quale fin dall’inizio si è fondato. Attorno a questo movimento si sono però coagulati anche frange di consenso che mai avrebbero votato per Fini, ma che lo incoraggiavano per convergenza d’intenti e medesimo nemico. Questo interessato perdurante can-can mediatico attorno al Presidente della Camera e la convinzione d’essere assolutamente necessari all’azione di governo hanno prodotto una ubriacatura, un delirio di onnipotenza infrantosi nella bruciante sconfitta del 14 dicembre. Si è prodotto un radicalizzamento delle posizioni antiberlusconiane che dura tutt’ora, a scapito di una linea politica chiara e coerente.

L’azione di Fini si è caratterizzata dall’incessante e ossessiva ricerca di essere sempre e comunque in contraddittorio con quella del PDL. Non si può però occupare uno spazio già da altri impegnato, è una legge fisica prima che politica: quella dell’incompenetrabilità dei corpi. Dovendo accontentarsi di posizioni di rincalzo è inevitabile andare in contraddizione. Obbligati ad essere diametralmente opposti alla politica dell’altro non si è più in grado di esprimere una propria linea, subendo quella altrui.

Impossibile conciliare l’antiberlusconismo con il voto al Lodo Alfano, impossibile salire sui tetti per protestare contro la riforma Gelmini e poi votare la riforma dell’Università e dichiarare ”è una delle cose migliori di questa legislatura”, impossibile affermare sia necessaria una politica nuova e poi consegnare il partito a Bocchino, impossibile combattere Berlusconi senza dare l’impressione di allearsi con le opposizioni. Non è quindi un problema emorragico di numeri (fuori e dentro il Parlamento), questi sono solo la conseguenza di tanti errori, il primo dei quali è stato quello di dimenticare la politica sostituendola con la tattica.

Gli irriducibili, Bocchino in testa, continuano ad affermare che Berlusconi sia morto. Può darsi, ma neanche FLI si sente tanto bene, parrebbe.

Paolo Visnoviz
19 febbraio 2011

Paolo Visnoviz
Zona di frontiera, 19 Febbraio 2011


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