LA PIÙ GRANDE NOVITÀ POLITICA DOPO IL WEEKEND

Sinceramente non nutro molte aspettative per la “più grande novità politica” dopo il weekend, annunciata da Angelino Alfano, immaginata assieme a quello che tutti oggi chiamano Burlesqoni (ebbè, se l’è cercata). Credo che – sperando d’essere smentito dai fatti – assisteremo alla classica montagna che partorirà un topolino, una “ficzions”, insomma. L’ennesima. Alcuni affermano si tratterà di una riedizione del “predellino”, ribattezzandola “predellone”, ma di certo non si sa. Bisognerà attendere una ventina di giorni per sapere cosa bolle in pentola. Anche dalle parti di Casini si respira aria di cambiamento con la rifondazione di una creatura di centro – l’ennesima – dal provvisorio nome di “Partito della Nazione”.

Bersani, credendo che gli elettori in tempi di crisi non possano permettersi il nuovo, punta “sull’usato sicuro”. Nella Lega si consuma un vigliacco regolamento di conti. Ovvero tutti gli uomini politici hanno ben presente che se vogliono sopravvivere debbono cambiare, ma non sanno come. La loro fantasia si ferma al restiling dei contenitori senza cambiare i contenuti. Non potrebbe essere diversamente: avessero avuto una buona idea l’avremmo già vista. La loro cifra ci è ben nota e ci ha condotto in questa situazione. Eppure la novità c’è, e non da oggi. È sotto gli occhi di tutti: basterebbe leggere e copiare.

La crisi ha fatto deflagrare l’insoddisfazione che era ben presente già prima, sovrastata solo dal clamore dello scontro pro o contro Berlusconi, utile paravento per ogni italico male. Caduto questo, sono rimasti ben visibili i guasti delle nostre istituzioni, della politica dei partiti e della nostra società. Senza più alcun alibi.

Mentre si perdeva tempo a ritagliare l’abito di mafioso a Burlesqoni, si disquisiva sulle nipoti di Mubarak e si rincorrevano le varie fesserie che hanno riempito blog e quotidiani per anni, la politica cambiava. A livello sotterraneo, per motu proprio, senza che la grande stampa se ne accorgesse e se ne occupasse.

I militanti sono rimasti per troppo tempo senza spazi, non sono stati ascoltati, messi in un angolo ed ignorati. Le cose sono cambiate, stanno cambiando. No, non sono impazzito e nemmeno mi sono svegliato vittima di ringalluzziti ormoni primaverili. Constato semplicemente quello che è sotto i nostri occhi: è cambiato il linguaggio della società e quindi anche della politica. È questa la novità.

Da tempo i cittadini non subiscono passivamente le informazioni da stampa e Tv, ma le generano, si confrontano e si formano un’opinione in modo interattivo. Impossibile che questo non si rifletta a tutti i livelli. Chi prima di ogni altro lo ha capito è stato Grillo. Forse non l’ha nemmeno compreso (di errori ne ha fatti una infinità) e ha copiato (male) idee altrui, ma in ogni caso è nel suo movimento che sta nascendo un nuovo modo di fare politica. E sarà vincente.

Dimenticate i contenuti della proposta politica di Grillo (no Tav, rinnovabili, no agli inceneritori, ecc.) e considerate solo il metodo: la Rete. Non meramente intesa come struttura informatica, ma come tessuto politico, come partecipazione, come aggregatore di idee. Funzionerà, sta già funzionando. Ed è quello che molti vogliono, in ogni formazione partitica. Dal Pd con il movimento dei rottamatori, al Pdl con i molti attivisti che hanno sempre chiesto più ascolto. Dai vertici di sinistra queste richieste sono sempre state viste come battaglia generazionale e minacciosa erosione di potere, nel Pdl – al riparo da queste paure perché forti di una leadership carismatica – non si è compreso però molto di più. Antonio Palmieri (responsabile comunicazione Internet del Pdl) si è reso pure disponibile ad attrezzare degli spazi Web, rimasti desolatamente vuoti ed inutilizzati. Il problema non sono gli spazi, quelli già ci sono – pure troppi -, è il metodo che deve essere cambiato. È il processo decisionale che è in crisi.

Le scelte prese, spesso criptiche, frequentemente motivate da ragioni di Palazzo, distanti dal comun sentire della base, giustificate goffamente a posteriori non bastano. Il militante non è più un discepolo indottrinato che va in sezione di partito ad ascoltare il “verbo” per poi ripeterlo a pappagallo. Chi si occupa di politica, chi segue i problemi della società si forma una sua idea in modo autonomo, trans-partiticamente. Idee che vanno ascoltate e rispettate, anche confutate se il caso, ma non più ignorate. È una forza, non una debolezza, una ricchezza che solo degli sciocchi getterebbero al vento. È qualcosa che assomiglia sempre più alla “liquid democracy” e non l’ha inventata Grillo, ma i Pirati. Modalità adottata anche dai Tea Party.

È questa la nuova metodologia nascente cui spetterà il terribile compito di opporsi alle guide tecnocratiche, oligarchiche e lontane anni luce dalla società reale e dai problemi concreti. C’è bisogno di un nuovo Re, inteso come nuova forma di governo. Chi non comprenderà questo sopravviverà il tempo delle proprie clientele.


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