CRUSCOSO ELOQUIO

e’l più bel fior ne colse
Francesco Petrarca

Si vede che se sei un pargolo dal nome matteoso hai già nei geni geneticosi una sequenza per diventar famoso, o famigerato(so) che dir si voglia. Il vocabolario dei fanciulli è spesso infarcito di neologismi che fanno sorridere genitori e zie nelle famiglie. Ai maestri spetterebbe il compito d’insegnare la lingua che è come uno straordinario monumento che muta pian piano con la luce che cambia e le stagioni, restando sempre e magnificamente se stesso. La lingua è anche la musica di un popolo, il suo modo di sentire e capire ciò che ci circonda. Immagino che ora ci sarà uno scrivere scrivoso: tutti a chiedere la vidimazione della parola strafalciosa del compito di italiano, del documento urbanistico, della delibera etc, etc. Finire sui giornali, il momento di gloria, non si sogna che questo. Ogni creaturiello telemunito potrà risentirsi o scrivere al Tardellazio se un incauto istitutore sottolineerà un errore con la matita blu: è un neologismo, perbacco!, come vi permettete?

Quos vult Iupiter perdere, dementat prius. In Francia non so quale ministressa di Hollande sta preparando una riforma della lingua per semplificazione. Via tutte le doppie, circonflessi, dittonghi con buona pace della Chanson de Roland, du Roman de la rose ed altre meraviglie dimenticate, saremo obbligati a scrivere in petit nègre, in modo analfabetizzoso che più non si può. In mancanza di direttive europee – che certamente arriveranno, è solo che si sono distratti un momento sul diametri dei sedili a norma di didietro tedesco – la deriva uniformosa dilaga. Se poi ci metti l’inflazione degli anglicismi -buoni a non far capire un tubo di più di quello che già non si capisce – la frittata è bella che cotta. Avremo tutti una minuscola torre di Babele (magari una pala eolica di Babele), c’è chi potrà stepcildadoptare e chi no, e comunque ci stiamo fiscalcompattando e non solo, finchè i cervelli saranno completamente rattrappiti, irreversibilmente.

La lingua subisce la stessa ingrata sorte dei nostri monumenti e del nostro paesaggio: sfigurata e violentata perchè perda ogni incantamento, ogni potere di seduzione e finisca bollita nella pentola dei luoghi comuni europeistosi, femministosi, policallicorrectosi, slidosi. Le buone parole arretrano, sotto assedio, le cattive avanzano; e non è un caso che non si possa più parlare di politica svuotata del senso, prima ancora dei contenuti.

Del resto, a chi serve leggere, scrivere, pensare, se non a noi stessi? A noi, come individui recalcitranti a saltare nella puzzosa pentola dei cervelli all’ammasso, del tira a campare, del silenzio complice?Gli apparati ci vogliono ignoranti, utenti supini. Guardate facebook, ci hanno dato le faccine, quattro, cinque, quelle bastano. Stai per scrivere e te le vedi comparire, tanto per farti perdere il filo. Invadentose.

Ci tocca rimpiangere il dipietrese, e il celodurese. E poi ci restano i grandi dialetti, sempre siano lodati, che lingue son, prima che spariscano anche loro. Resistere, resistere, resistere. Facciamo incetta di vecchi vocabolari e mettiamoli in cassaforte. Le sentinelle leggano nelle piazze Dante. E Leopardi. E Manzoni. La crusca, quella non setacciata per bene, serve da purga. Come l’olio di ricino. Intelligenti pauca.


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