PACTUM SCELERIS

Piero Ostellino, liberale doc, ha affermato in una intervista al Foglio che in Italia è intervenuto, tacitamente, un pactum sceleris tra il mondo finanziario e quello mediatico-giudiziario. Egli ha iniziato dicendo che l’obbligatorietà dell’azione penale genera mostri e che il più colossale e vergognoso dei quali ha, di fatto, trasformato la nostra Repubblica in una Repubblichetta delle banane nelle mani di caudilli in toga, i quali hanno un potere che tracima nell’arbitrio. Forse, ha voluto dire che i pubblici ministeri, appellandosi al principio di obbligatorietà, agiscono spesso in modo arbitrario, incriminando persone innocenti con il criterio del “poteva non sapere”.

Ma l’arbitrio dei pubblici ministeri non discende dal principio di obbligatorietà dell’azione penale, che, peraltro, pur scritto in Costituzione (art. 112), non ha mai avuto effettiva applicazione, essendo utopistico, atteso che, come le statistiche dimostrano, solo il 20/30 dei reati commessi entra nell’input delle indagini penali: il principio costituzionale è uscito con le ossa rotte. Per questo la discrezionalità dell’esercizio dell’azione penale è ovunque nella realtà, tanto che nel 1987 il Consiglio dei Ministri europei emanò una “Raccomandazione” a tutti i Paesi membri perché adottassero il principio di discrezionalità, oppure mettessero a punto strumenti che vadano nella stessa direzione.

L’arbitrio dei pubblici ministeri nasce dalla mancanza di controllo democratico sulla loro attività troppo discrezionale: come scrisse Giovanni Falcone, se il pubblico ministero non è sottoposto a controlli istituzionali saranno sempre più gravi i pericoli di attività arbitraria o di collegamenti con centri occulti di potere.

Noi abbiamo creato, invece, la “via italiana al pubblico ministero”, inaugurata da Palmiro Togliatti, nel 1946: un pubblico ministero indipendente da tutti, assolutamente incontrollabile e soprattutto irresponsabile verso il detentore della sovranità. Ecco da dove deriva l’arbitrio: hic sunt leones!

Altra affermazione di Ostellino che non mi sento di condividere è quella per la quale ”Il controllo di legalità (…) che qualcuno vorrebbe assegnare alla magistratura inquirente, è il modo col quale ogni regime illiberale tiene sotto il proprio tallone la propria popolazione (…), il controllo di legalità sarebbe l’ultimo passo verso il totalitarismo di un cammino già da tempo in corso”. No, esimio Ostellino, qui sbaglia di grosso, perché in ogni Stato democratico, bene ordinato, il Parlamento fa le leggi ma è il potere esecutivo – di cui incontestabilmente ed ovunque il pubblico ministero è organo – ad assicurarne la osservanza, mediante la vigilanza e la repressione. Quello cui allude Ostellino è evidentemente la tracimazione arbitraria del pubblico ministero dall’alveo della correttezza legale, nonché l’assenza di riferimento della sua attività ad organi responsabili (nella specie: il Ministro di Giustizia che ontologicamente, da sempre ed in ogni Paese, ne dirige le funzioni, tra le quali anche il controllo sull’amministrazione della giustizia).

Ancora: Ostellino è vittima della falsa vulgata – di origine comunista – secondo cui la magistratura autonoma e indipendente da ogni altro potere, prefigurata dall’art. 104 della Costituzione, sarebbe composta non solo da giudici ma anche dai pubblici ministeri. Ma questa è la magistratura fascista, di cui all’art. 4 dell’ordinamento giudiziario del 1941 («ordine giudiziario»), purtroppo ancora vigente, non la magistratura repubblicana, che è l’«ordine della magistratura», composto solo dai soggetti cui è devoluta la funzione giurisdizionale (art. 102 Cost.). Noi viviamo di questa menzogna che i comunisti e la corporazione delle toghe hanno veicolato nella cultura italiana fino a comporre l’immaginario collettivo: persino il capo dello Stato invita a non delegittimare la magistratura, ignorando, però, che essa è di per se stessa illegittima, sia per contrasto con la Costituzione, che per difformità da principi fondamentali della democrazia (tra i quali la separazione dei poteri statali e la responsabilità per l’esercizio del potere).

La nostra, perciò, non è una Repubblichetta delle banane: è una democrazia anomala, perché sotto le apparenze di istituzioni democratiche vive il socialismo reale; la quale vegeta pur senza progetto adeguato ai tempi nuovi e, come scrisse Dostoieviski, nella continua menzogna.

Fatte queste osservazioni vengo al punto centrale dell’articolo di Ostellino – che ho letto, attentamente e con interesse, su il Giornale di mercoledì 29 agosto – cioè, vengo ad occuparmi del pactum sceleris, che sarebbe nato tra il mondo dell’informazione – di proprietà di quello degli affari – e la parte della magistratura “interessata a sovvertire gli equilibri politici esistenti e a portare al governo il partito comunista”.

Ma questa analisi, di per sé esatta, è però incompleta, perché lascia nell’ombra il ruolo dei comunisti, determinante per l’evoluzione dell’istituzione giudiziaria, a cominciare dal rientro in Italia di Palmiro Togliatti dalla patria sovietica. Il quale, allorché sbarcò a Salerno, aveva le idee chiare per realizzare uno Stato socialista ad immagine e somiglianza di quello sovietico, da realizzare, però, non con la rivoluzione (Stalin gli proibì questa via), bensì con l’egemonia, teorizzata da Gramsci; la quale consiste nella penetrazione pacifica del comunismo (anche con la menzogna, e con false promesse) nei gangli della società borghese (le casematte): università, editoria, giustizia, esercito, eccetera.

Per quanto riguarda l’istituzione giudiziaria, Togliatti – che aveva ottenuto prima da Bonomi poi da De Gasperi, presidenti del Consiglio dei Ministri, l’incarico di Ministro della giustizia -, confezionò il decreto legislativo recante “guarentigie nella magistratura”, datato 31 maggio 1946 (n.511), fu firmato dal Re, il quale, due giorni dopo, decadde per effetto del referendum istituzionale (monarchia o repubblica) celebrato appunto il successivo 2 giugno.

Fu un vero colpo di mano, quello di Togliatti, perché la legittimazione del Governo provvisorio ad emanare atti legislativi (mancando il Parlamento) era esclusa espressamente per provvedimenti aventi carattere costituzionale e, comunque, perché non si versava in situazione di “necessità ed urgenza”.

Ma quel che più rileva nell’iniziativa illegittima di Togliatti è la finalità politica da cui era mossa: da una parte, tendeva ad ingraziarsi i magistrati per poi servirsene, dall’altra, togliendogli la direzione ministeriale delle funzioni, faceva del pubblico ministero un organo del tutto simile alla Prokuratura sovietica, da tutti indipendente tranne che dal partito comunista (così s’inaugurò “la via italiana al pubblico ministero”). In tutto il mondo il pubblico ministero è legato al cordone ombelicale del Ministro di giustizia: solo in Italia è prevalsa la tesi dei comunisti e dei loro corifei – magistrati compresi – che il Ministro di giustizia non debba avere alcun ruolo nella conduzione della funzione di accusa penale! Alla Costituente, mentre il Progetto di Costituzione redatto dalla Commissione dei 75 proponeva che al pubblico ministero si estendessero le garanzie previste per i magistrati, l’Assemblea stabilì invece che le garanzie dovessero essere stabilite dal futuro ordinamento giudiziario (art. 207), ferme restando quelle previste da Togliatti; ma in via transitoria, fino al chiarimento della figura dell’organo di accusa, all’epoca ibrida perché includeva anche alcune funzioni di giudice. In tal senso disponeva, ma in via più generale, la VII disposizione transitoria della Costituzione.

Dopo il chiarimento, avvenuto col nuovo codice di procedura penale (quarant’anni erano passati!), si ebbe il secondo colpo di mano, ma questa volta dei magistrati che in maggioranza componevano la Commissione ministeriale incaricata di adeguare l’ordinamento giudiziario al nuovo codice: infatti, fu mantenuta l’unione organica di giudice e pubblici ministeri, con incoerenza sia rispetto al nuovo modello accusatorio di processo penale – che configura il pubblico ministero mera “parte” del processo, distinto e distante dal giudice super partes – sia rispetto alla Costituzione. Il progetto della Commissione, contenente appunto le modifiche dell’ordinamento giudiziario, passò indenne perché allora (1987) le toghe ed i politici non erano ancora ai ferri corti.

In conclusione, è innegabile che a ridurre l’Italia nella situazione di Repubblica anomala o, se si vuole, di democrazia di facciata, è valso il patto di reciproco soccorso tra comunisti (oggi si chiamano diversamente) e toghe: i primi sostengono l’abnorme potere delle toghe, queste eliminano gli avversari politici dei primi: un gioco sporco, sia dei comunisti che dei magistrati, che certamente è antidemocratico ed anticostituzionale. E quindi non v’è dubbio, che, oltre al patto scellerato tra toghe e media di cui parla Ostellino, c’è anche quello tra magistrati e comunisti che con il soccorso della Corte costituzionale costituisce un formidabile blocco di potere irresponsabile, al di sopra e spesso contro la sovranità popolare.

Marsilio
Zona di frontiera, 14 Settembre 2013


Un commento a “PACTUM SCELERIS”

  1. Aver fatto Togliatti ministro della Giustizia è l’equivalente della Kyenge ministro dell’immigrazione. Il controllato fa il controllore. Del film “Comunisti si nasce e comunisti si muore”


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