REPUBBLICA GIUDIZIARIA

Signore e Signori,
È giunto il momento di interrogarci perché, molto probabilmente, presto saremo bell’e fritti. L’olio ferve, e noi stiamo per esser buttati giù nella padella. Direte voi: ʺMa che dici? Non lo siamo già, fritti?” Certo sì, ma ci sono vari gradi di cottura, alcuni …reversibili, e c’è persino una via di salvezza, la solita: riuscire, tutti insieme, a cambiare stato d’animo e pertanto modo di pensare e di reagire.

Bisogna capire bene la situazione. Io mi limito a fare quel che si puo’ fare da soli: lanciare un S.O.S. E lo faccio non certo per vuota albagia, ma solo perché… sì, sono preoccupato più di altri. Detto in altro modo: invidio coloro che non ci pensano. Stiamo diventando tutti dei puri e semplici morti di fame, ma non sarebbe bello evitare di aggiungere a questo terribile danno altri danni non meno gravi? Indubbiamente voi sapete come me, per semplice sana intuizione, che incombe il pericolo di una Repubblica Giudiziaria, o Tribunalizia. Un regime manettaro?… Ma come! S’è appena concluso il disperato secolo dei totalitarismi idioti, Mussolini, Hitler, Stalin, Di Pietro, e bisognerebbe ricominciare daccapo? Ma siamo matti?

Mi permetto di rivolgermi proprio a voi. Ehi VOI! ditemi, vi piacerebbe diventare sudditi di una Repubblica giudiziaria, con presidenza magari Caselli, vicepresidenza Ingroia, ministro degli Interni Woodcock, alla Informazione la Boccassini, e alla Cultura naturalmente l’entusiasta Dario Fo? La violenza unita alla comicità più stolta: quella che ride dei dissenzienti. E cariche ministeriali distribuite secondo un preciso ʺordine della galeraʺ; tutti in marcia al passo… dell’oca (ribattezzato ʺpasso della sguarrataʺ) sul ritmo di un Inno probabilmente dal titolo ʺZitti e moscaʺ? E via con la giustizia su teoremi tratti da postulati appositi! Carcerazioni preventive…, processi indiziarî…, concorsi ʺesterniʺ(?)… Sarà divertente: voi, avvalendovi dell’apposito Ufficio Calunnie, mi date nome, puzza e fango adatti per dirupare qualcuno che vi sta sulle scatole, e io ve lo cucino ʺai ferriʺ in quattro e quattr’otto! Semplice, no? E tutti contenti.

Si dirà: ma alle Procure di Milano, di Salerno, di Palermo, di Caccavone e di Smerdarolo già comandano! Che cosa vogliono di più? Ve lo spiego io, il ʺdi piùʺ. Come si dice da noi (si badi, l’Italia è la kulla del diritto): ʺcomandare è meglio che etc.”. Il che, svolgendo il significato, indica che non basta farlo una volta sola, più lo si fa e più lo si ripete e meglio è. Comandare una volta sola!? E sí, buonanotte! Bisogna comandare sempre di più e sempre di nuovo.

Questo tipo di situazioni iterative lascia intravvedere una nuova filosofia che è ancora tutta da elaborare. Balza agli occhi che sono metodi di governo che obbediscono ad una sintassi dualistica. In termini brutali: ricatto. Il che è intuitivo, va da sé: ʺcomandare etc.” presuppone due soggetti, ad es. incubo e succubo, oppressore e oppresso, oppure profittatore e vittima, etc.

Ma attenzione. Il caso ideale è quello di due meccanismi dualistici incrociati: la molla è allora ʺla merce di scambioʺ. Esempi: voi delle Sinistre ci consentite di fare a man salva i comodi nostri, e noi magistrati in cambio consentiamo a voi di fare tutte le porcate che volete: a cominciare dagli innumerevoli vantaggi di Casta, per finire alle prepotenze necessarie per rimanere saldi in sella. Esempi: mai consentire che la Costituzione, fonte di soprusi chiamati ʺgaranzieʺ, sia manomessa; che gli attuali burocratismi accortamente finalizzati abbiamo ad essere snelliti con danno dei detentori del potere; che qualcosa che sia voluto appassionatamente dal popolo, magari per referendum (ad es. la responsabilità civile del magistrato), diventi legge, etc. etc.

In questo caso ideale dei due meccanismi oppressivi ʺincrociatiʺ la situazione diventa autoriproducente, e il danno irreversibile. Chi mai potrà modificare lo stato di cose esistente, se le due parti sono d’accordo? Avete mai sentito parlare di ʺdanza degli scorpioniʺ? Chi potrà più scalfire il potere d’una casta che non ha controllori, ma solo garanti ʺincrociatiʺ? La soluzione si fa drammatica: fare una rivoluzione? Ma no, è cosa da cui rifugge ogni animo civile. Civile di solito significa mite. È proprio sull’esistenza di questi benedetti animi miti che i malintenzionati fanno i loro calcoli. Tuttavia, ciò è noto, le soluzioni violente vengono ʺda séʺ, non volute da nessuno di quelli che poi si trovano ad esserne i disgraziati partecipanti. Io detesto il sangue. Bisognerebbe prendere per le mani questi delinquenti, guardarli negli occhi, e dire: ʺpietà, siamo tutti fratelli… Un po’ di libertà non fa male a nessunoʺ. Ma queste sono le solite chiacchiere che hanno vigenza solo nelle fiabe per bambini. Ho una nostalgia dell’infanzia, io!…

Tutto ciò dovrebbe dar da pensare a tutte le persone responsabili, e innanzitutto, inutile dirlo, alle persone intelligenti. È per questo che si assiste con tanta preoccupazione ai comportamenti irresponsabili dei nostri ʺmaîtres à penserʺ. Anzi: è proprio quando i contenuti delle menti di questi ultimi si fanno irresponsabili, decorativi, periferici, che bisogna preoccuparsi: le persone ʺintelligentiʺ soffrono di una sorta di automatico ottundimento dovuto proprio alla loro posizione: è il fenomeno del mandarinismo, il distacco dalla realtà.

In questi tristi tempi penso spesso ad Evaristo, un mio amico che vive in Madagascar. Profondamente religioso, devoto al pensiero di sant’Agostino, sarebbe l’interlocutore ideale delle mogie serate invernali se non fosse uno di quelli che ʺnon sanno mai né il tempo né l’oraʺ. Esempio: state per partire per un viaggio urgente, piede sul predellino dell’automobile. Evaristo trova che sia il momento buono per discutere su un certo punto della ʺprivatio boniʺ che non gli è troppo chiaro. State per recarvi dal dentista con una guancia gonfia, o sta crollando il soffito della cucina, o si allaga l’appartamento? Lui afferra un bottone della vostra giacca rigirandolo, e comincia con il ʺnoli foras ireʺ. La lingua spagnola, assai espressiva, ha per questi problemi un termine preciso: il tamaño, che sarebbe la ʺdimensioneʺ, sia fisica che morale, della cosa in questione. Evaristo non ha il senso del tamaño, pensa che il crollo di un soffitto e un particolare da chiarire della ʺcittà di Dioʺ abbiano lo stesso grado di urgenza.

È quel che accade, ad esempio, col Cacciari, persona ʺintelligenteʺ ma priva di senso del tamaño: mentre la Boccassini fa le pazzíe che tutti sanno, pazzíe che stanno lentamente abituando l’opinione pubblica a ritenere ragionevole l’irragionevole e giusto l’ingiusto, lui, anziché dire qualche parola ʺazzeccataʺ sulla gravissima gravità della cosa (abituare l’opinione pubblica alla follía idiota è l’anticamera del pensiero unico e del totalitarismo) se ne viene col problema delle cenette del Cav. Ma davvero! E chi ci protegge dalla incombente pazzía/scemenza dell’abbraccio della piovra? Il Cacciari è deboluccio, forse un po’ clorotico; per fortuna c’è l’erculea Nunziatina, ʺmaestra a pensareʺ di prima scelta. Aspetta, che arriva! Macché, quella si occupa del problema degli ʺimpresentabiliʺ… Aiuto, aiuto!

Leonardo Cammarano
Zona di frontiera, 27 Maggio 2013


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