LO ZERO ALLA CARICA

Ai video di noi poveri Italiani s’è presentato, in piena campagna elettorale, l’On. D’Alema, mica l’impresario delle pompe funebri. Questa volta ha lasciato a casa l’autoritratto che si porta dietro d’abitudine. Segno evidente che non intende sottolineare i molti meriti della sua persona e del suo cervello, cosa che solitamente fa con impegno. Infatti si è pavoneggiato a livello quasi zero. Come mai? Probabilmente, esibire il suo temperamento per natura ʺschiattosoʺ gli è sembrato cosa inopportuna, inadatta all’occasione. Pescare voti o consenso significa farsi alquanto pecora, no?

Così travestito da piécoro, o automitigato, ha detto cose molto importanti, dico importanti, ma molto, insomma: fino ad un certo punto.

Ha detto che bisogna togliere di mezzo tutti quelli che si servono della politica per fini personali e non a servizio della collettività. Ha detto, se ben ricordo, che bisogna ridurre le tasse. Ha detto che ci vuole una amministrazione dello stato più agile, che si renda utile ai cittadini con maggiore sollecitudine. Ha detto che bisogna rivedere i metodi della magistratura, che talvolta non funzionano a dovere, specie per le lungaggini. Ha detto anche, molto en passant per non perdere tempo prezioso, che sarebbe bene ridurre alquanto il numero dei parlamentari, e ha alluso anche alla necessità, necessaria questa, di rivedere il sistema elettorale. Ha detto che bisogna lottare sempre e poi sempre contro la Mafia (probabilmente anche contro la ‘Ndrangheta, la Sacra Corona, la Camorra, etc.), ma lottare con convinzione, non così, lottare e basta. Ha detto che forse bisogna snellire un poco la struttura generale dello Stato, che forse è alquanto arruffata. Ha detto in sostanza: meno chiacchiere più fatti -, questo è quel che ci vuole, santo Iddio!

Circostanza notevole: egli ha detto, invero con maggior dettaglio e perizia, cose molto importanti, come dimostra il fatto che le dicono e le ripetono tutti i nostri parlamentari, anche al bar, quale che sia la loro bandiera: il che è la prova migliore che si tratta di propositi essenziali e assai serî. E poi, come si sa, gutta cavat lapidem… etc.

Non ha detto, ma è stato come se l’avesse detto, che bisogna essere più buoni, nel senso di essere migliori, rispettare le leggi, non solo non evadere il fisco ma anche pagarle, le tasse; volersi più bene l’un l’altro, non calunniare il prossimo, o almeno farlo con moderazione. Non fosse stato per necessaria caratterizzazione ideologica, penso che ci avrebbe anche raccomandato di confessarci almeno a Pasqua, se non a Natale, di andare alquanto a messa, almeno di domenica, di non desiderare la donna altrui (e nemmeno l’uomo, dati i tempi che corrono, e per carità neppure il bambino).

Insomma, ha detto cose belle; e ha raccomandato ʺdi fare i buoniʺ, come il Cosimo Cinieri: probabilmente ci ha presi per panettoni. Ma lo stile è ottimo: se ne potrebbe fare un bel libro da mettere accanto alla Ars honeste petandi in societate, nella bibliotechina di Gargantua che, come racconta Rabelais, teneva molto a queste ed a consimili preziose guide indispensabili per l’educazione del cittadino modello.

Tutto questo evidentemente è ben detto, è quel che si deve dire, è quel che usualmente si dice, come dimostra il fatto che lo si dice. Mi ha ricordato un mio nipotino che, aveva cinque anni, andava in giro per il villaggio per ʺinsegnare ad abbaiare ai caniʺ. E cioè, per dirla in altre parole, queste litanie di meri intenti sono acqua calda, broda per cervelli a bagno-maria, flatus vocis, chicchirichì e coccodè, insomma roba buona. La stessa roba che gorgheggiano il Presidente Zarzuela, il Casini, la classe politica in genere, unitamente ai sigg. de La palice, Panurgo, Catalano e compagnia cantante. Come è noto, e qui si vede, la ripetizione assidua è la base dell’educazione.

È roba di qualità, mi permetto di dire io, ʺpreviaʺ. Previa perché questo minestrone di ghiottonerie, così ben descritte e prescritte, lo si dovrebbe presupporre come ovvio, e passare direttamente al capitolo numero due, che per noi è il numero uno: ed è il ʺcomeʺ. ʺCome si deve fare, in concreto, per cucinare questa saporita minestra?” Oppure, forse, chissà, è meglio continuare a vivere leggendo ricette di cucina, standosene a digiuno?

Ed è qui che casca l’asino (per carità, dico ʺasinoʺ solo perché lo si dice, infatti si dice proprio così; non è colpa mia).

L’esortazione di D’Alema si arresta qui. Ma dico, ancora un passo, e si verrebbe al sodo: che si snocciola come segue. Rifacimento urgente della Costituzione nata ʺreazionariaʺ ovvero conservatrice spinta, dico nata com’è noto in tempi di timori di rigurgiti fascistici (ma in verità, e invece, in festosa attesa del definitivo rigurgito comunista); dimezzamento dei parlamentari; ripristino della par condicio nella composizione di organismi pubblici come la Corte Costituzionale, il Consiglio Sup. della Magistratura etc.; rispetto della tripartizione del Montesquieu; riduzione dei poteri dello Stato e snellimento dei modi della loro attuazione; separazione delle carriere tra ʺservitoriʺ dello Stato inquirenti e giudicanti; lesina nella spesa pubblica; eliminazione degli enti inutili, delle Province p.es., eliminazione o severo controllo dei finanziamenti ai partiti; creazione di un credito bancario agile e innovativo; drastico snellimento della burocrazia; facilitazione d’impianto per le imprese in genere e segnatamente per quelle estere, etc. etc.

Ma questo è un linguaggio pedante, che si accosta pericolosamente al ʺfareʺ, metodo grossolano, estraneo al nostro elegante mondo politico. È il linguaggio che usa il solo Berlusconi, o quasi. Ma come è noto il Berlusconi è uno di quei provinciali screanzati che dicono pane al pane e vino al vino; uno che, senza cautele e senza garbo, spiattella le cose anziché trovare il modo di non dirle quasi, per il necessario rispetto dell’eleganza – che diamine, lo stile! – come fanno il D’Alema, re Zarzuela, il Casini, il Fini e tutti quanti. Noi sconsigliamo di dar retta a uno che osa rompere con una vecchia tradizione di finezza, e che passa, o vorrebbe passare, subito ai fatti. Uno che dà impiego a 52mila persone, ognuna delle quali, tranne qualche depresso onanista, ha almeno un coniuge e un figlio, il che dunque fa 150mila anime. Bravo, e poi, se facessero tutti così, che resterebbe da fare? Ma come si permette? Votate bene, mi raccomando.

Leonardo Cammarano
Zona di frontiera, 19 Gennaio 2013


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