IL GRAN MARPIONE

Qualcuno – anzi più di qualcuno, è quasi una vulgata – dice che Berlusconi è finito (s’intende politicamente) e con lui è finito il berlusconismo (cosa sia nessuno però lo dice); qualche cialtrone – se ne vedono tanti in giro – aggiunge che dal completo disastro che egli ha provocato ci ha salvato Mario Monti, il quale ha evitato, appunto, che sprofondassimo nel precipizio, sull’orlo del quale ci trovavamo nel novembre 2011 (puro terrorismo mediatico per giustificare scelte inconfessabili).

Si tratta di mera propaganda politica, quel che è certo, però, che è finito (o rinviato ad un futuro imprecisato) il sogno di costruire un’Italia liberale, al passo delle democrazie occidentali, efficienti e garantiste; permane, invece, lo statalismo più stantio, che sperimentiamo da oltre mezzo secolo: inefficiente e tutt’altro che garante dei diritti dei cittadini, un Moloc horridus che divora, a danno della collettività, le ricchezze che il Paese produce, ora però, nell’era dei professori, a stento.

Ho detto altre volte che il male oscuro della democrazia italiana è il comunismo, cancro che ha creato metastasi in tutto il corpo sociale e nelle istituzioni, e pertanto non intendo qui ripetermi. Ora, invece, voglio riflettere su quello che è accaduto da noi dopo la caduta del muro di Berlino, vale a dire dopo la sconfitta clamorosa del comunismo sovietico (bandiera rossa non trionfò) e, quindi, dopo la fine della guerra fredda, che aveva visti contrapposti il mondo occidentale liberale – il campo delle libertà e del benessere – ed il mondo sovietico – il campo dei gulag e della miseria generalizzata, che i nostri comunisti spacciavano per paradiso terrestre.

Vorrei che gli italiani conoscessero la storia del comunismo nostrano, del suo attuale nullo ideologico e imparassero a non prendere per oro colato le sue promesse, i suoi slogan, veri specchietti per le allodole (Italia giusta, Rivoluzione civile, etc.). Noi abbiamo bisogno di forze politiche serie, che non indichino soltanto traguardi (spesso utopici) ma che espongano con assoluta chiarezza e senza riserve mentali le vie concrete per realizzarli. E questo vale sia per la sinistra che per la destra.

A fine dell’anno 2012, mi sono soffermato, lontano dal frastuono e dei botti, a riflettere su alcuni aspetti del nostro sistema, sui quali non tutti portano la dovuta attenzione. Così, sono andato a ritroso nel tempo, perché sono convinto che per conoscere bene il presente è necessario conoscere a fondo il passato. Come si dice – ed è vero – la storia è maestra.

Mi sono soffermato, in questa analisi retrospettiva, all’anno 1987, che è indubbiamente un anno di grande significato per il divenire del sistema italiano. Infatti in quell’anno si sono verificati fatti di grande rilevanza, che qui indico in ordine cronologico: la legge-delega al Governo per configurare un nuovo processo penale “in attuazione dei principi della Costituzione e delle norme internazionali relative ai diritti delle persone e del processo accusatorio”, nonché per adeguare l’ordinamento giudiziario al nuovo processo (febbraio); il Pci registrò il contraccolpo delle vicende del comunismo sovietico, perdendo consensi (giugno); la magistratura subì un pesante giudizio critico da parte del popolo nel referendum per la responsabilità civile di giudici e pubblici ministeri intesa a risarcire i danni che i magistrati producono alle persone nell’esercizio delle loro funzioni (novembre).

Ma, si verificò la contraddizione tra il codice di procedura – che configurava il pubblico ministero senza alcuna funzione giurisdizionale e, quindi distinto e distante dal giudice, com’è in ogni processo accusatorio (negli Usa il procuratore distrettuale ha persino gli uffici fuori del Palazzo di Giustizia) e le nuove norme di ordinamento giudiziario emanate da una apposita Commissione ministeriale (composta da magistrati o ex magistrati) che, incoerentemente, mantenne l’unione organica di giudici e pubblici ministeri (l’ordine giudiziario fascista, che i Costituenti avevano ritenuto non conforme ai precetti consacrati nella Carta che essi avevano emanata).

Fu un autentico colpo di mano (dopo quello di Togliatti nel 1946, che inventò la “via italiana al pubblico ministero”, cioè sottraendone le funzioni alla direzione ministeriale): i componenti della Commissione legiferarono non nell’interesse generale del Paese, ma in quello della loro corporazione, secondo l’antico adagio “l’unione fa la forza”.

Da parte loro i comunisti si limitarono a sostituire il nome al partito, mantenendone lo stesso personale: operazione di pura facciata. Intanto Bettino Craxi, leader del Psi, invano aveva sollevato la questione della separazione del pubblico ministero dal giudice (il che gli costò caro) ed invano aveva sollecitato il Pci a rientrare nei ranghi del socialismo democratico e formare così assieme al Psi una grande forza riformista e libertaria (all’uopo Craxi aveva agevolato l’ingresso del Pci nella organizzazione della socialdemocrazia europea, garantendo dell’evoluzione del Pci.

Ora i magistrati mantengono e difendono il loro superpotere, sovraccarico e illimitatamente irresponsabile, i comunisti continuano a dominare la scena politica con la menzogna, tanto che nel 2006 portarono ad occupare il seggio del Colle un loro uomo, autentico comunista.

Conseguenza: non solo s’inasprì il conflitto istituzionale tra magistratura burocratica e potere politico, espressione, questo, direttamente o indirettamente, della sovranità popolare, ma cominciò la persecuzione giudiziaria nei confronti della forza politica che si proponeva il cambiamento del sistema. Ci lasciò le penne Craxi ed il socialismo e più recentemente, sia pure non in modo traumatico, Berlusconi, che a novembre del 2011 ha dovuto dare le dimissioni da capo del Governo, sebbene eletto nei modi canonici della democrazia nel 2008. Ora si dice che occorre istituire una Commissione parlamentare d’inchiesta per far emergere chiaramente quella vicenda: ma sarebbe il modo più sicuro per insabbiare la verità, che a me sembra lapalissiana. Invero, anche nei confronti di Silvio Berlusconi ha funzionato a pieno ritmo il patto di cui sopra ho detto (di mutuo aiuto tra magistrati e comunisti) ancorché non abbia comportato lo stesso epilogo di Craxi. Bisogna allora spostare il riflettore sul presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, per le responsabilità che sono sue proprie, sia come capo dello Stato, sia come presidente del Consiglio superiore della magistratura. Senza voler fare un processo alle intenzioni, mi limito a constatare che egli, garante del regolare svolgimento delle istituzioni democratiche, non è mai intervenuto seriamente per far cessare la strumentalizzazione, in chiave politica, dell’esercizio della nobile funzione giudiziaria da parte di gruppi di magistrati faziosi. Anzi, ha spesso ammonito a non delegittimare la magistratura indipendente, ignorando, anch’egli, che la Costituzione ha concesso la prerogativa sovrana dell’indipendenza assoluta solo ai giudici e non anche ai pubblici ministeri, cui non ha attributo la qualifica di magistrato. Ma egli non è il custode della Costituzione?

Mi duole dover dire ciò, ma perderei il rispetto di me stesso se non lo dicessi. E non è tutto e, forse, non è la cosa più grave. Si deciderà mai egli a dire agli italiani quel che accadde in quel novembre del 2011 e, soprattutto, quale fu il tenore della conversazione telefonica che ebbe con la Cancelliera tedesca Angela Merkel? Ne dubito. Quella telefonata fu un intervento scorretto non solo e non tanto perché sarebbe dovuto intervenire tra capi di Governo, e tale non è il nostro presidente della Repubblica, quanto e, soprattutto, perché suonava come illegittima interferenza nella nostra nazione sovrana. Non è dato conoscere i termini esatti di quella conversazione, ma si può agevolmente desumerli dai successivi comportamenti del presidente della Repubblica: la Merkel non solo impose per noi una politica economica di estremo rigore (i compiti a casa che ci assegnò), ma impose che questa fosse attuata da persona di sua fiducia, Mario Monti (che era stato Commissario europeo), che garantisse l’attuazione del rigore (lagrime e sangue). Ma Napolitano si trovò, per tale richiesta della Merkel, in difficoltà: infatti per prassi centenaria delle democrazie il capo dello Stato deve conferire l’incarico a formare il Governo ad un uomo politico che conoscesse tutti gli aspetti della governance, e Monti era soltanto un professore di economia, sia pure Rettore della Bocconi. Pensò Napoletano (o fu consigliato) di superarla nominando Monti senatore a vita, ritenendo, ma erroneamente, che la nomina facesse di Monti un uomo politico; oltre a tutto commettendo una violazione della Costituzione (grave per chi ha giurato di rispettarla), posto che la nomina a senatore a vita può avvenire solo nei confronti di un cittadino che “ha illustrato la Patria per altissimi meriti (all’Assemblea si disse che la nomina serviva ad assicurare “ai sommi” ai “geni” tutelari della Patria, una tribuna che essi non hanno). Monti sommo? genio tutelare della Patria? E in che modo Monti ha dato lustro all’Italia? Constatiamo che ha portato l’Italia alla recessione e partecipa alle elezioni in modo subdolo: non volendo rinunziare al lucroso seggio senatoriale, partecipa alle elezioni attraverso una “agenda”, come una summa politica, ed ed avendo compagni soggetti da sempre politicanti. Il suo gioco per ora resta un enigma.

Insomma, non solo non è un sommo, né un genio, né ha illustrato la Patria, ma ha mostrato di essere un gran marpione: spero che gli italiani non si lascino ingannare e suggestionare.

Marsilio
Zona di frontiera, 6 Gennaio 2013


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