PASSEGGIATA NAPOLETANA

«Ma Napoli, Napoli bella della mia gioventù, com’è diventata?»
«È orribile. Altro che odore di mare, che mi dicevi. Odore di merda come qua. Ma qua è la nostra merda».
Domenico Rea

Restituiamo Napoli ai Borbone!
Mario Borghezio

Da Bagnoli si vede subito: una vecchia struttura dell’Italsider che stanno cementificando a strati e a volute, per farci chissà cosa. L’area è in abbandono, solo perché da un trentennio i potenti non si sono accordati sulla spartizione della torta. Il grottesco inventore del finto miracolo napoletano fece costruire un enorme pontile, doveva essere una passeggiata, è solo uno scempio sullo specchio di mare senza alcuna ragione. Ricordo il Caffè Pola, appena prima di Nisida: due vecchiarelle ossigenate, divani sfondati, un salone desolato e romantico, centinaia di quadri alle pareti. Cattiva pittura, ma straziante poesia di tramonti ineguagliabili. Salendo, verso il capo Posillipo, il costone è al solito franato e il semaforo mobile è sempre li’, come quando, giovani, si andava ad amoreggiare di nascosto sul promontorio che i Greci chiamarono ”Tregua degli affanni”.

Inutile cercare l’incanto antico. Napoli si tace avvitata su se stessa come una sirena morente; perfino il mare è lontano da questo guazzabuglio di mura sozze, cartacce afflosciate, eterni cantieri, isole pedonali ideologiche e sgarbate, palme morte che nessuno si occupa di tagliare e che restano in piedi rinsecchite a certificare la resa d’una natura stremata.
Tutti strombazzano inviperiti ad un’auto francese che si attarda a guardarsi intorno – e forse hanno ragione -, non c’è più nulla da vedere qui, nemmeno il Vesuvio e perfino la casa paterna attorcigliata in un groviglio di sensi unici senza senso.
“Non è più come una volta, no”. Bruno, il vecchio portinaio, scuote la testa con gli occhi umidi. Cinquant’anni nella guardiola. Le portinerie erano l’ombelico del mondo: sorveglianza, chiacchiere e profumo di ragù. Stretta osservanza della meritocrazia, appena velata da qualche sana antipatia personale: ”un palazzo per bene!” Ne andavano fieri. “Per bene” voleva dire di gente che lavorava, che non aveva grilli per la testa, ma aveva figli bene educati.
La campana del convento di San Pasquale suona a distesa, ma nessuno la sente più. E i monaci, dove sono finiti?

Anche tutte le vecchie botteghe del quartiere sono sparite. I vicoli dietro la Riviera erano una manna di tradizioni e di voci: pannazzari di ogni genere là dove erano le librerie antiquarie, le mercerie, le chincaglierie e gli artigiani. A chi venderanno i loro stracci alla moda? probabilmente a nessuno. Una volta si diceva “i panni sporchi si lavano in famiglia”. Ora è il danaro che si lava.
La città abbandonata a se stessa si è trasformata in un’immensa, caotica periferia senz’anima. Di tanto in tanto, un muro tufaceo sottratto ai vandali ospita un ardito oleandro, una pianta di limoni che nessuno coglie e che finiscono spiaccicati sotto le ruote delle auto, un fico rigoglioso. E ci si accorge che li’ c’era Napoli e attraverso la traccia d’una memoria dolente, appaiono i fantasmi delle cinquecento chiese, le voci degli ambulanti e il suono del pianino, gli altarini con le animelle del Purgatorio ed i caffè storici, dai nomi stranieri – Caflish, Van Bool e Fest – anch’essi cancellati a profitto di ignobili paninoteche.

Tutti agli arresti domiciliari, i Napoletani dabbene vivono di nostalgie inconsapevoli dietro le finestre blindate. Qui hanno rubato anche il tramonto e le notti. Le ore tarde  compensavano la fatica di vivere – contrarietà, ingiustizie, disservizi -, la città risorgeva venendo incontro ai suoi figli insonni, soffiando sui nostri volti la brezza marina, la tiepida carezza della Sirena Partenope.
E noi inseguivamo le leggende nelle stradine strette – cardi e decumani – sovrastati dagli alti palazzi barocchi, certi che avremmo incontrato, almeno una volta, la nera carrozza anfibia del Principe di Sansevero o il corteo dei fantasmi nella piazza dei Miracoli fermo ad ascoltare il suono dei cento pianoforti delle orfanelle degli educandati femminili. C’erano i santi e i maghi, gli eruditi e i teatranti, ritardatari e sognatori e, certamente, pure i ciarlatani dell’asso vince-asso perde e i ladruncoli. Dioniso e Apollo duellavano nel brulicante teatro a cielo aperto d’una storia fiera di se stessa, sono spariti entrambi.

“Signuri’: volete parcheggiare? lassateme ‘ e cchiave”. No, non vogliamo. Soltanto fretta di invertire la marcia tra gli impazienti strombazzatori e ripartire per non insozzar troppo i ricordi. Ecco, la Chiesa di Piedigrotta. Poco lontano, secondo la leggenda, è sepolto Virgilio. Ci sarà forse un giorno del giudizio anche per i luoghi, ed in quel giorno, forse, risorgerà anche la poesia.

Angela Piscitelli
Zona di frontiera, 2 Agosto 2012


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