LIBERTÀ

Di tanto in tanto qualcuno rispolvera il luogo comune del “bisogna lavorare di più”, come soluzione agli italici problemi. Come se in questo Paese non si lavorasse, come se il problema dell’economia fosse legato ad una forma diffusa e congenita d’indolenza. È vero il contrario: si lavora anche troppo.

Nel settore privato spesso non esistono orari o giorni festivi e anche quando la serranda è abbassata qualcuno dentro sgobba. Mette a posto, sistema le fatture, chiude i conti. È sempre stato così, almeno fino ad un certo punto. Fino a quando cioè, lavorando di più, si poteva sperare di raddrizzare la baracca. Adesso prevale la sensazione che sia tutto inutile. Per quanto si lavori, per quanto ci si sacrifichi, per quanto si abbia voglia di fare, la baracca non la si raddrizza più. Le incombenze fiscali e burocratiche sono divenute soverchianti, rendendo vano qualsiasi sforzo e buona intenzione.

Nessun artigiano o lavoratore autonomo può più svolgere la sua professione per una settimana filata: un paio di giorni – se va bene – deve dedicarli alla burocrazia, al commercialista, alla banca, al Comune, alla compilazione del Registro dei Rifiuti Speciali (per una Azienda quasi qualsiasi pattume è ormai considerato “speciale”), all’Ufficio delle Imposte quando non a Equitalia. Chi è riuscito a darsi una struttura più complessa, riesce ancora a galleggiare. A patto di stipendiare un’impiegata a tempo pieno, con l’improduttivo compito – oltre a quello di svolgere normali funzioni di segreteria e contabili – di interfacciarsi con il commercialista, aruspice dei voleri dello Stato.

Nel settore pubblico non va meglio. Nei grandi carrozzoni, decisioni vitali e operative seguono percorsi illogici, scollegati dalle esigenze aziendali, condannando interi settori alla paralisi. Si prenda la Rai, per esempio, che nell’epoca della semplificazione digitale in importanti sedi il girato è ancora in Betamax e nelle redazioni usano Pc con soli 512Mb di memoria Ram. Chi ha deciso quegli acquisti (i pc non sono poi così vecchi) non si è preoccupato della produttività della Redazione, ma solo di far risparmiare 20 o 30 Euro a postazione (la differenza, all’epoca, tra 512Mb e 1 giga di Ram). E pazienza se per un’ora e passa al giorno ogni giornalista, redattore o impiegato è costretto ad aspettare l’avvio di un sistema operativo.

In Italia non si lavora poco, si lavora male. I comparti non sono collegati, mancano le infrastrutture, vi sono troppe barriere normative/burocratiche. Qualsiasi Azienda, quando si deve rivolgere al “pubblico”, subisce assurdi rallentamenti e demenziali richieste di astrusi adempimenti. Perdite di tempo, quindi di danaro. Su larga scala significa perdita di competitività del sistema-Paese.

La politica ha promesso spesso di avviare processi di semplificazione, ma troppo frequentemente si è ottenuto l’effetto contrario, sovrapponendo normativa a normativa, a volte cancellando le precedenti con procedure di pari, se non superiore, complessità. Inevitabile quindi assistere ad uno Stato sempre più ingordo di denari, intento a garantire la sopravvivenza di se stesso, sempre più complesso e kafkiano.

Ma di che vaneggiano quando parlano di “decreto sviluppo”, quindi? È solo un goffo tentativo di recuperare consenso con proposte marginali, che non promuoveranno alcuna reale spinta economica. Provvedimenti di difficile accesso, complicati, e quando qualche cittadino vorrà informarsi per scoprire se potrà accedervi nessuno saprà aiutarlo, e sarà costretto a peregrinare per giorni di ufficio in ufficio per poi scoprire che per qualche codicillo, a quella agevolazione, non ha diritto. Intanto hanno creato un altro carrozzone, “Italia digitale”, per scoprire come migliorare la Rete. Eccerto, come al solito i tecnici hanno bisogno di tecnici, anche per farsi dire cose che qualsiasi “nerd” conosce. È l’autogenerazione della nuova casta, apparentemente super partes, certamente irresponsabile.

Volete veramente “sviluppare l’Italia”? Lo Stato faccia un passo indietro, liberalizzi – che non significa necessariamente o solamente svendite e dismissioni -, ma soprattutto de-burocraticizzare gli adempimenti per chi lavora. Non servono nuove regole, ulteriori decreti, altri carrozzoni: serve solo più libertà.

Paolo Visnoviz
Zona di frontiera, 16 Giugno 2012


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