A – B – C

I partiti sono la prima struttura organizzata di qualsiasi Stato democratico. Sono la cerniera tra cittadini e istituzioni. Sono la nervatura della democrazia. E sono morti.

Sono morti perché la loro struttura è superata, non rappresenta più i cittadini, non sono più luogo di dibattito e di formazione di idee e proposte, se mai lo sono stati. Sono strutture verticistiche e dirigenziali che funzionano al contrario: non ascoltano le idee e le esigenze degli elettori, piuttosto pretendono che la base faccia da cassa di risonanza alle scelte della dirigenza, supinamente. La politica che Napolitano e molti altri difendono è esattamente questa. Preistoria. Roba da Pcus. Non funziona più. Funzionerebbe male – e ha sempre funzionato male, infatti – pure se fosse vincente, figuriamoci in un momento in cui si è dovuto chiedere soccorso ad un governo tecnico.

È patetico l’atteggiamento delle formazioni maggiori che a livello nazionale sostengono l’operato del governo Monti, mentre in sede regionale combattono l’aumento dell’Imu, Imu-bis e varie. È schizofrenia pura o manifesta disonestà. Inutile gridare all’antipolitica o argomentare contro il primo partito d’Italia, quello del non voto. La gente non andrà a votare perché 1) in un momento di crisi la classe politica non ha rinunciato ai suoi privilegi, 2) la gente prova la sensazione che comunque non cambierà nulla: decide tutto Bruxelles, 3) i dirigenti di partito non solo non sono in grado di immaginare la società di domani, ma nemmeno dimostrano di comprendere quella di oggi. Tant’è che sono sempre a cercar di metter pezze solo dopo che sono usciti gli scandali, mai prima. E solo con proclami, mai con i fatti: ancora parliamo di riduzione di stipendi dei parlamentari, di finanziamento ai partiti e di auto blu! Ancora!

In particolare il punto due è devastante. Infatti disinnesca l’antico meccanismo che in extremis e per i capelli trascinava gli elettori alle urne, per cui “se non andrete a votare vinceranno gli altri”. Ebbeh?, anche così fosse, cosa cambierebbe? Sono tutti attovagliati attorno all’emissario dell’Europa delle banche e della finanza, Mario Monti. Tutti: centro, sinistra e destra. Quindi non c’è alternativa alcuna. Non c’è distinzione, c’è un’unica politica, un unico pensiero. Perché allora qualcuno dovrebbe votare per il Pdl, piuttosto che per il Pd?, per distinzioni di lana caprina?

L’ultima sparata (non si può definire altrimenti) di Alfano e Berlusconi sulla grande novità politica dopo le amministrative è sintomatica e rispecchia esattamente il vecchio modo di fare. In primo luogo perché la novità dovrebbe piacere agli elettori? Nessuno sa con certezza di cosa si tratti, è stata decisa dall’alto, venduta come un mirabolante coniglio che esce dal cilindro di Berlusconi e non è stata discussa con i diretti interessati: gli elettori di area. Ed è pure possibile che a chi si è fatto la tessera del Pdl gli girino le balle: si è iscritto ad un partito che non sa cosa diventerà e potrebbe benissimo non piacergli.

Tutto questo è finito, è evidente dai sondaggi e lo diverrà ancor più dopo il voto. La nuova via è la partecipazione, con l’ascolto delle nuove militanze telematiche e non. È vero, rappresentano ancora una minoranza elitaria, ma di giorno in giorno crescono di numero e oggi sono questi cittadini digitali a fare da opinion leader. Sono loro che convincono amici, parenti, zii e nonne quando non ben più vaste platee su Facebook, Twitter e sui loro blog. Decidono gli esiti elettorali. Chi riuscirà ad ascoltarli, a coinvolgerli, a farsi carico delle loro istanze sarà nel futuro vincente.

In Islanda la nuova Costituzione l’hanno scritta così, in crowdsourcing. Il processo decisionale non cambia, spettando sempre agli eletti, ma le scelte diventano motivate e condivise. Questo metodo inoltre, naturalmente meritocratico (per selezione naturale gli scemi si autoelidono), risolverebbe automaticamente il problema dei consensi e sarebbe molto più aderente alle esigenze reali del Paese.

Ovviamente non basta un sito o un blog di discussione per coinvolgere le persone, è necessario dare loro degli strumenti concreti. In primo luogo servono i reali costi della macchina amministrativa, la loro ripartizione e destinazione. Servono i dati veri, di ogni aspetto pubblico, ordinati, di facile e libero accesso. Solo così si troveranno soluzioni condivise. Si potrebbe iniziare a parlare d’Europa, per esempio. Seriamente. Analizzando freddamente se continuare a farvi parte, come, e in caso contrario cosa realmente comporterebbe uscirne, spiegando quali sarebbero le conseguenze o come dovrebbe cambiare. Si potrebbe parlare di riforme, opere pubbliche, sanità, sicurezza, ecc. Non solo parlare. Dopo aver parlato si dovrebbe agire di conseguenza e con coerenza. Non è più accettabile proclamare di voler ridurre la pressione fiscale e poi, facendo spallucce, fare l’esatto contrario, permettendo la politica tremontiana cui abbiamo assistito.

Non è una utopia, potrebbe essere semplice come fare un click, basterebbe volerlo.  Se non ve ne siete accorti c’è già chi lo sta facendo: è un comico, ha delle proposte demenziali, ma grazie al nuovo modo di fare politica vi sta pensionando.

Paolo Visnoviz
Zona di frontiera, 26 Aprile 2012


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