VIVA L’ITALIA LIBERA

Carlo Alberto Brusa (a sinistra) e Andrea Verde

Pe’ me tu si’ catenaaaaa…
Pe’ ll’ate si’ Mariaaaaa…
Io perdo ‘a vita mia,
Maria! Marí’, pe’ teeeeee

Oggi sono in catene e sono qui. Domani sarò senza ceppi… ma dove? – Edgar Allan Poe

“Leggere Repubblica avvelena anche te. Digli di smettere”. E’ quanto andrebbe scritto a caratteri maiuscoli e con foto illustrativa nella prima pagina del quotidiano di Don Eugenio ‘a barbetta. Il variopinto mondo degli Italiani all’estero, affezionato ancora all’uso antico dell’edicola, non trova infatti di meglio per disinformarsi. Così la Patria, vista da lungi appare all’emigrato come terra nefasta tenuta in ostaggio da un mefistofelico bandito sessuomane e mafioso di nome Berlusconi. E non importa se chiamando amici e familiari in terra natia essi rispondono candidamente che si sta una bellezza, che certo c’è la crisi ma ci si arrangia, che l’Italia è zeppa di belle figliole sorridenti e riattaccano un po’ in fretta perché stanno fabbricando un magnifico ragù. No. L’addottrinato non se ne fa una ragione del flagello biblico che ha colpito il suo Paese. Pensa che il parente, o l’amico sia tallonato da qualche agente segreto, tal James Bondi, che gli punta una pistola nella trippa per impedirgli di dire come stanno le cose.

Leggi oggi, leggi domani, l’immane sofferenza per l’italica sorte ha spinto due ex candidati del Pdl, un noto avvocato ed un articolista de Il Futurista (ma guardunpo’ !) ad incatenarsi sconsolati davanti al consolato italiano per protestare contro Silvio Berlusconi. Beh, a dire il vero incatenarsi è una parola grossa. Intanto ci vuole un incatenatore di professione: in due viene male, perché se uno incatena l’altro, quello incatenato non può più incatenare il primo. Bisogna essere in tre. Ma ci doveva essere il fotografo. I fotografi, che sanno fare tutto (anche salire sugli alberi per fotografare con teleobiettivo gli “zizì” dei topolanek che si riposano a villa certosa) non devono essere molto esperti in incatenamento. Ma basta il pensiero. E quindi si va al primo Brico boutique, si compra una catena e la si avvolge graziosamente al collo, genere “unoaerre” Peynet. Le bandiere dei mondiali sono utili pure quando si perde perché ci si può scrivere sopra “W l’Italia libera” e attendere pazienti che arrivi una folla di giornalisti estasiati. A Parigi però la concorrenza è spietata: la Ville Lumière brulica di bislacconi ad ogni angolo di Boulevard, statue umane immobili, mangiatori di fuoco, violinisti con scimmietta, ritrattisti, veggenti, ballerini e non sempre per tutti c’è attenzione o qualche centesimo di euro. Se avessero voluto far colpo i nostri eroi avrebbero dovuto almeno cantare: “all’alba vincerò” e portarsi un simil-Saviano al guinzaglio a fare il giro a due zampe col piattino. Distrattamente, qualche parigino avrà pensato ad un sentito e manifesto ringraziamento ai Francesi per averci liberati dalle canzoni di Carla Bruni, o ad un’inusitata pubblicità di un nuovo locale notturno a tendenza un pò hard: “Italia libera”.

In tempi di catastrofologia applicata ben venga tutto ciò che fa sorridere. Però viene spontaneo chiedersi: perché diavolo noi Italiani ci facciamo un dovere di seguire i cattivi profeti, di farci cattiva propaganda, di avallare l’immagine d’un Italia stracciona, idiota, fannullona e delinquente? Ma ve li immaginate voi, due Franzè, Totò e Peppén, incatenarsi davanti al Consulat a Roma con un drapeau con su scritto: “w la France libre?” Da che? Da chi?

Non viene in testa a nessuno che se tutti si possono incatenare e scatenare a piacimento, vomitare ingiurie, gettar statuette, raccontar balle, calunniare, candidarsi, scandidarsi, cambiar casacca e mutande, salire sui tetti, incendiare i cassonetti, pontificare, assassinare la sintassi, andare a spasso invece che in aula, di libertà ce n’è forse troppa?

Gli sconsolati del consolato si saranno consolati con un buon boeuf bourguignon caldo. A Parigi è già un po’ inverno. Le temibili guardie azzurre del Cav. non sono uscite armate fino ai denti ad acchiappare i novelli Fratelli Bandiera, incatenarli comme il faut ad una sedia chiodata per costringerli a sentire a ripetizione: “menomalechesilvioc’è”. Non l’hanno fatto. Distrazione. Direbbero Eugenio Scalfari e Filippo Rossi. Sì, ma imperdonabile. Sto Cav. non sa manco far bene il dittatore: eccheccavolo! E’ chiaro che cosi’ Umberto Eco non se ne andrà mai. Ci tocca incatenarci.

Angela Piscitelli
Zona di frontiera, 13 Ottobre 2011


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