RAGIONE E SENTIMENTO

L’assenza di qualche infarinatura di buone lettere e di filosofia è sempre più menomante di quanto generalmente si creda, e poi «si sente»: voglio dire, viene immediatamente percepita dall’interlocutore. Il progressivo tramonto del benefico «liceo classico» è stato esiziale. Un tempo, anche balbettando, parlavamo tutti la stessa lingua. Ora invece, contagiati dal polisenso e dall’approssimativo, ci siamo tutti domiciliati a Babele.
Dobbiamo anche dolerci di conoscere poco e male le lingue, vive e morte che siano. Quando penso che al mio paese, molti decenni fa, avevo uno zio che recitava in greco classico, a memoria, commentandoli, lunghi brani dell’Iliade, mi viene…, beh, non proprio da piangere, ma quasi da ridere: oggi, la «preparazione culturale» è cambiata di molto. Qualche serata fa, è accaduto a me ed a voi di assistere ad un programma TV in cui una elegante venditrice di appositi aggeggi spiega ai signori, e specialmente alle signore, come masturbarsi (sic) con il massimo… profitto. Sί: un ottimo rapporto qualità/prezzo! Altro che Iliade! Persino il Bonolis sembrava disorientato, cadeva dalle nuvole; lo stupore era più forte di lui.

Torno a bomba. Importanza di una cultura «umanistica» e conoscenza delle lingue. Tra italiano e francese, ad esempio, esistono «inversioni» semantiche istruttive. Da noi «fantasia» è cosa buona e ricca, mentre cosa povera e arbitraria è «immaginazione»: il perfetto contrario di quel che dicono phantasie e imagination. In francese, pertanto, affermare che «l’arte è frutto di fantasia» non avrebbe troppo senso. Per Giambattista Vico, invece, la fantasia è «memoria dilatata e composta»: dunque precisamente arte, in senso proprio.
Si potrebbero moltiplicare questi esempi. Quando Leibniz afferma che nulla vi è nell’intelletto quod prius non fuerit in sensu, ovvero che nella nostra testa non vi è nulla che non sia passato previamente per la via della sensibilità, per noi italiani d’oggi quest’affermazione sa di sensismo perché ci manca, per il vocabolo «senso/sensus», la ricchezza semantica latina, che Leibniz invece utilizza.
Voglio dire con questo che quando parliamo di «sensibilità, senso, fantasia, memoria, immaginazione, emozione» etc. alludiamo a contenuti della nostra mente tutti ben differenziati tra loro, e accomunati soltanto dal fatto di non essere concetti. Ignorare questi dati significa… essere ignoranti, e basta.
Un colpo di martello su un dito è evento doloroso che riguarda la nostra «sensibilità» bruta, ovvero integralmente passiva. Una giornata di primavera vissuta in campagna riguarda invece una «sensibilità» diversa, già arricchita da componenti «produttive» della coscienza: ricordi di situazioni analoghe, associazioni, «sostanza di cose sperate» (san Paolo), forse nostalgia «delle rondini dell’anno scorso», etc. etc. La vista d’un bambino ingiustamente maltrattato, o di un pover’uomo truffato delle sue poche ultime lire, risveglia una sensibilità di natura ancora diversa, che si usa chiamare «coscienza morale». Finalmente, la lettura del Don Quijote de la Mancha mette in moto una sensibilità molto più complessa, che si chiama intuizione perché è già parente della conoscenza: è arte, ovvero, scusate se è poco, costituisce il primo passo del conoscere.
Emanuele Kant, che ne sapeva molto più di me e anche di voi, afferma che la conoscenza si compone di due attività produttive: l’intuizione e il concetto; e senza troppi complimenti aggiunge: il concetto senza intuizione è cieco; l’intuizione senza concetto è muta -, o qualcosa di molto simile, se ricordo bene.

A questo punto molti, dei pochi lettori delle presenti righe, diranno:
– Ma che gli prende, al Cammarano? Perché ha deciso, oggi, di romperci le scatole? Con tanti guai economici e «politici» ai quali pensare, tante gatte da pelare, lui ci viene a cantare la messa con le quisquilie di Kant e di Leibniz!?
A questi protestanti rispondo: sί, avete ragione. Ma è tutta colpa di Conchita De Gregorio, mica mia! E colpa anche, in secondo luogo, del Bonelli, quello che si occupa (fruttuosamente, io penso che lui pensi) di problemi ecologici. Ed ecco che espongo le mie giustificazioni.

Ad un certo punto di quella minestra riscaldata che è Ballarό la Conchita, come punta dalla tarantola, si dà corpo ed anima a fare l’elogio dei programmi politici confezionati mediante traveggole, ovvero con l’aiuto di una sbrigliata immaginazione, perché – come poi si affanna a ripetere – soltanto con l’aiuto di molta fantasia (non con il pedante, egoistico ragionamento), si riesce a compiere efficaci, vittoriose, generose «rivoluzioni»! Ripeto : rivoluzione tutta emozione, niente ragionamento! Sic e ri-sic!
Dunque, tanto per cominciare, la De Gregorio vuole la rivoluzione! L’ha detto al Bersani, oppure lo ha confidato solo alle torbide orecchie di Asor Rosa e di Flores d’Arcais? Vuole la rivoluzione «emozionale», ottenuta a prezzo modico, con alluvioni di parole sinonime del nulla, alla maniera del Vendola (il cui motto dev’essere: «non dire in tre parole quel che puoi dire in trecento volte trenta»), oppure rivoluzione con vere bombe a mano, mitra, cerbottane etc. etc.?
Per organizzare detta rivoluzione, la De Gregorio consiglia di abbandonarsi ai mulini a vento del sogno. All’impeto dell’emozione! Niente ragionamento ponderato e pedanti valutazioni, analisi seria dei fatti, niente. Si perderebbe l’impeto rivoluzionario, la sacrosanta spinta! Niente moscerie «borghesi» !.
Probabilmente la De Gregorio scambia emozione e sentimento con intuizione, che è l’unico modo di schivare per un poco il ragionamento, solo quel tanto che basta ad allestire la preparazione del medesimo. Un po’ di ragionamento ci vuole persino per progettare una rivoluzione. Le rivoluzioni senza pensiero, tutte emozione, le si fa solo al manicomio. E certo, nessuno nega che Bersani, Flores d’Arcais e Vendola sono sulla buona strada. La De Gregorio ignora che la via maestra da lei prospettata è già ampiamente percorsa.
A questo punto, delle due l’una: o la signora fa sul serio, come sembra, e allora la faccenda è preoccupante per lei. O forse, somma furberia, vorrebbe che il PdL seguisse lo stravagante consiglio per perdere definitivamente ogni possibilità di riscossa? Io credo che faccia sul serio. Le donne, questo lo si sa, sono piene di sentimento.

Ma c’è un sintomo importante, che modifica ulteriormente la diagnosi. Ad un certo punto della sua appassionata esortazione rivoluzionaria, la Conchita cita con piglio dotto Jane Austen. Ma sbaglia ancora una volta il colpo. Ovviamente si riferisce al romanzo Ragione e sentimento che pero’, significativamente, aveva avuto il primo titolo Sense and sensibility. Il romanzo è centrato sulla difesa della ragionevolezza contro l’eccessiva emotività: proprio l’esatto contrario di cio’ che la nostra rivoluzionaria crede che Jane Austen propugni. Sbaglia, sedotta dal titolo d’una narrazione della quale, evidentemente, non ha letto neppure un rigo. Questa si chiama ignoranza, non rivoluzione.

Alla De Gregorio ha fatto poi eco il mai abbastanza stimato Bonelli, che afferma quanto segue: si deve essere contro il nucleare anche se si riesce a dimostrarne la utilità e razionalità contro le insensate e irrazionali prospettive dell’eolico e del fotovoltaico. E cio’ perché «le considerazioni di umanità debbono sempre prevalere sull’utilitarismo, su cio’ ch’è freddamente razionale». Come dire: generoso altruismo contro gretto egoismo. E questa è veramente un’altra balla molto grossa: perché, qualora le energie alternative fossero – come pare che siano – scarsissimamente produttive e sul lungo periodo d’utilità nulla, i sentimenti di umanità che Bonelli invoca condurrebbero irreparabilmente alla poco umana e poco umanitaria prospettiva d’un mondo senza energia. Bell’altruismo, quello che dona il nulla incartato in un coppo di chiacchiere!

La pretesa utilità delle energie alternative è inumanità camuffata. Si andrebbe innanzi per qualche settimana, ricorrendo alle riserve energetiche ereditate dal termoelettrico e dal nucleare. Tutto cio’ è follίa, se i due credono a quel che dicono; è molto peggio, se addirittura non ci credono. Ma noi speriamo di tutto cuore che ci credano, e soprattutto che riescano a convincere di queste limpide idee Bersani, Letta e Compagni: una « rivoluzione » perseguita con tali intelligenti criteri sarebbe quel che ci vuole per ottenere un rapido e definitivo trionfo della Sinistra.
Ehi, voi, Sinistra al caviale, Popolo politicamente corretto! Che ne direste di inverni senza riscaldamento, e tutto l’anno a piedi? Non auguriamo stagioni similmente «umane» neppure ad Asor Rosa.

Leonardo Cammarano, 9 giugno 2011
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Leonardo Cammarano
Zona di frontiera, 10 Giugno 2011


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