ZEUS, EUROPA E I TECNOCRATI

“Tiro al tramonto, col ratto d’Europa che indica il simbolismo della decadenza dell’Europa, lo svanire della sua bellezza, che si trasforma in terrore”
Ruskin

Dovunque estende la sua influenza, la Germania rovina la cultura.
Friedrich Wilhelm Nietzsche

In Fondo fu un sogno di pochi. Le Patrie non son cose che si tocchino o che si mangino. Sono l’aspirazione di riconoscersi insieme ad altri in una storia, in un carattere, nei segni d’un paesaggio. Nel tempo gli stati si sono composti, sfaldati, riaggregati. La geografia politica è transeunte, la poesia d’un ideale, resta. Se nessuno di noi se ne ricorda più perché mai dovrebbero tenerne conto gli altri? Così l’Italia, terra di poeti santi e navigatori vive sul serio nel cuore di pochi che sanno percepire le tracce della sua essenza – tutte culturali – disseminate con abbondanza lungo tutto lo stivale.

Tuttavia il picco del disappunto di noi apolidi “aspiranti Italiani” è arrivato quando il Professor Monti, dopo aver variamente esercitato l’arte della retorica con elegante ed autorevole eloquio, ha scandito serio serio: “chiamatelo decreto salva-Italia”.

Il debito di una nazione è, nel bene e nel male, anche la sua storia. Il danaro è una convenzione ed un mezzo attraverso cui ogni civiltà prende la sua forma. Senza la sua funzione non ha senso, come un medicinale scaduto. Il debito non può essere una colpa. E’ un meccanismo per far bene o male le cose, ma anche per farle secondo un criterio peculiare a ciascuno stato, come a ciascuna famiglia. Se la famiglia si allarga, la maniera di gestirlo deve trovar forme che non ledano la creatività ed il carattere di ciascun familiare.

Non può certo arrivare un signore “da fuori” a farci la paternale e distribuire punizioni ammonendoci, come fa la tedesca coi baffetti depilati, che se facciamo i cattivi saremo responsabili del fallimento dell’Europa. Intanto queste stentoree dichiarazioni, contengono una verità involontaria: l’Europa non è che un groviglio di conti farraginosi, dove il più prepotente vince a tirare la coperta dalla parte sua e lasciare gli altri con il sedere all’aria. Perché se il fallimento monetario coincide con il fallimento del progetto, vuol dire che il progetto o non è mai esistito o è stato tradito da qualcuno e spinto verso un altro binario. I pochi volenterosi che si accinsero a leggere la famosa Costituzione europea, non riuscirono a trovare un solo concetto, uno!, che avesse un senso compiuto. Trattasi di una summa di politichese dal quale si evince che l’unione può essere tutto e non dev’essere nulla, e soprattutto non dev’essere un’idea appassionante di rafforzamento di una identità culturale attraverso la sintesi del meglio di tutte le identità culturali partecipanti già legate da una autentica storia comune. Quelli più fortunati che furono chiamati a votarla, la bocciarono, mostrando buon senso e sospetto. A noi non fu dato. Ma ci presero le mani e ci costrinsero ad applaudire. Ora di questa costituzione non si parla più. Naturalmente. Meglio dimenticarla e spostare la colpa originaria alle presunte colpe dei malcapitati sottoscrittori.

Sarà un caso che le prime nazioni a soccombere sotto la scure oscura dei tecnocrati invasori siano state l’Italia e la Grecia? Lì, dove l’Europa nacque in un’epoca lontana in cui la politica distribuiva lacrime vere e vero sangue, certamente, ma gli uomini custodivano il sacro fuoco del pensiero, capace di costruire altro pensiero. L’Europa vera esiste: sul Partenone, a Paestum, nei meravigliosi vasi a figure dipinte che la terra ci restituisce poco a poco, ovunque, e cominciarono la loro avventura nelle botteghe della Magna Grecia. Esiste nelle ombre magiche delle chiese gotiche, nel fruscio delle pagine nelle biblioteche dei monasteri ed ancora nelle essenze mediterranee, nelle erbe, e nel profumo del mosto nei giorni della vendemmia. Il nome Europa è il più ricorrente nei testi di storia dell’arte, di filosofia, di letteratura. Ma figlia di Agenore “dai larghi occhi” amata da Zeus non somiglia per nulla a questa demenziale burocratessa senza passato che ricatta i suoi figli e genera burocrati. A saperlo, il dio tonante l’avrebbe certamente lasciata sulla spiaggia a coglier fiori.

Ogni nazione ha un’anima. Ed è l’anima la ragione di essere. L’economia dovrebbe essere la conseguenza della creatività e dell’operosità collettiva e come tale, non può condividere integralmente regole estranee alla sua natura. Applicare criteri di gestione uguali per tutti è globalizzare la diversità uccidendola. Senza l’anima, nessuna nazione ha un senso. Possiamo essere tutti consumatori a ripetere, automi paganti senza diritti e diretti da una demagogia acefala pronta a schiacciare il diverso come un insetto fastidioso.

L’Europa “dai larghi occhi” di cui Zeus s’invaghì non ha nulla in comune con quella indispettita signora senza ideali che affama i figli, deprime le aspirazioni e nasconde i soldi sotto i materassi di chissà quali poteri occulti, gialli neri o rossi che siano. Siamo obbligati ad obbedire a questa madre snaturata oppure possiamo metterla in una casa di riposo e riprendere in mano l’attività di famiglia? I sacrifici avranno un senso solo se la forma e i contenuti di questa unione saranno ripensati, se il processo di costruzione potrà rifarsi con le braccia e con il cuore, non con lo spread.

Capiremo a breve se questo psicodramma da operetta scritto da contabili improvvisati sceneggiatori potrà trasformarsi in un progetto vero. Perché ciò che passa più o meno sotto silenzio è che la rottura traumatica dei nostri salvadanai sarà del tutto inutile se i prepotenti di qui a qualche giorno non verranno a più miti consigli. E non potranno dire che è stata colpa nostra.


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