STATO BARO

Con la legge di stabilità è stata introdotta una nuova tassa sulle slot machines. 1.200 euro per ogni apparecchio annui. Non è ancora chiaro chi dovrà pagarla, se i gestori – i proprietari delle slot – o gli esercenti; bar, tabacchi e sale giochi dove sono installate. A corollario sono state emanate altre norme, come l’aumento della tassa sulle vincite oltre i 500 euro che passa dal 6 all’8% e una riduzione di circa un terzo del numero delle macchinette esistenti, ad oggi circa 350mila. Non occorre essere il Mago Otelma per prevedere che le tasse appena decise rimarranno, mentre la riduzione degli apparecchi finirà nel nulla.

D’altra parte i numeri in gioco sono importantissimi e rappresentano circa 25 miliardi all’anno di entrate per l’erario. Si può quindi ben immaginare che nessun governo si darà mai la zappa sui piedi da solo, limitando in qualche modo questa inesauribile fonte di denari. Soldi facili, soldi rubati alla creduloneria degli italiani, danneggiando soprattutto i ceti più poveri.

Se un paio di cose su come funzionano le slot machines fossero note, forse la gente giocherebbe meno. In generale, il buon senso dovrebbe già essere sufficiente: nessun “banco” perde mai. Alla lunga i numeri sono sempre a suo vantaggio. Nello specifico, per quanto riguarda le diaboliche macchinette, bisogna sapere che queste sono dei dispositivi elettro-meccanici abbastanza rudimentali, costruite in modo artigianale con pulsantiere, tubi, display, vaschette e solenoidi (questi, quindi, facilmente attaccabili da generatori Emp). Il loro “cervello” è composto da una semplice scheda madre all-in-one pilotata da un sysop (sistema operativo) basato su Linux, solitamente installato su di una sd-card.

Le slot sono quindi dei computer dotate di un cervello piuttosto stupido, al pari di ogni altro computer al mondo. Per loro natura riescono agevolmente effettuare calcoli complessi in virgola mobile con precisione e velocità impressionanti, ma sono del tutto incapaci di generare risultati casuali. Per lo scopo ricorrono a degli algoritmi specifici, per quanto raffinati mai perfetti, giungendo solo ad “emulare” la casualità.

Vincere o perdere alle slot è quindi tutto meno che frutto della fortuna. Le vincite sono decise per decreto, con regola matematica, e queste devono essere pari al 74% degli importi introitati in un ciclo di esercizio di una slot che può essere, a seconda dei modelli, di 25mila o 35mila giocate. Queste macchinette sono lo strumento perfetto per l’erario, in quanto garantiscono flussi di denaro costanti, misurabili, monitorati – tramite rete – in tempo reale.

Gli sprovveduti giocatori possono essere certi che perderanno il 26% di quanto inserito, con precisione matematica. Ovviamente nei micro cicli di giocate relative ad ogni singolo utente ci possono essere scostamenti in questo andamento, ma il risultato finale non cambia, lasciando solo l’illusione della casualità.

Per darvi la dimensione degli appetiti insaziabili dell’erario, basta considerare come vengono ripartite le uniche sicure vincite, quelle dello Stato, ovvero le altrettanto certe perdite degli sprovveduti giocatori. Quel 26% lordo viene immediatamente decurtato del 13,5%, composto da tassa Preu (Prelievo Erariale Unico), Aams (Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato) e tassa di concessione ai gestori di rete (società responsabili di trasmettere i dati), delle quali Sisal e Lottomatica sono le più diffuse.

Rimane il 12,5% da dividersi (solitamente in parti eguali o quasi) tra i gestori – ovvero chi fornisce le slot – e gli esercenti dei bar, sale giochi, tabaccai, ecc. dove queste sono fisicamente ubicate. Quindi, più o meno, ad un gestore o ad un esercente rimangono circa il 6%. Lordi. Certamente lordi, perché essendo tutti soggetti imponibili, quel 6% subirà la normale tassazione da reddito, lasciando nelle tasche degli operatori poco o nulla.

Va da sé che l’introduzione di una ulteriore tassa di possesso di 1.200 euro per ogni apparecchio annui non faccia felici questi soggetti, i quali stanno meditando sommosse. Però forse bisognava pensarci prima di fare società con lo Stato, il più grande dei ladri. Chi si mette in combutta con un truffatore, prima o poi finisce truffato, è scontato. Se fai l’ortolano non puoi non sapere dove finisca il proverbiale cetriolo, e se per di più lo dai da tenere in mano allo Stato, significa che allora pure ti piace.

Paolo Visnoviz
Zona di frontiera, 15 Febbraio 2015


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