C’ERA UNA VOLTA…

C’era una volta (ma è proprio vero?) la politica, or non c’è più: c’è solo la sua parodia; c’erano una volta i partiti politici, portatori di idee e di programmi, ancorché criticabili, soprattutto per carenza di cultura politica in ordine alle questioni di fondo (le regole): divisi in due chiese contrapposte – quella comunista e quella cattolica – sotto le ingannevoli etichette rispettivamente di “progressisti” e “moderati”: il progresso è sempre là da venire (sono impantanati a metà del guado) mentre il cosiddetto moderatismo, cui fa riferimento il Pdl, dissimula il vuoto di idee, ingiustificato però per una forza politica che si propone di ammodernare in senso liberale il sistema (le regole aspettano ancora di divenire realtà nel tessuto costituzionale).

In definitiva, prima c’era il potere politico, ancorché male gestito dai partiti, oggi c’è la caduta verticale della intera classe politica, degenerata in mera casta, che ha portato il Paese alla deriva, al caos, alla disperazione, al vuoto cosmico.

Ovviamente, il vuoto è sempre aborrito dall’ordinamento (horror vacui), onde c’è sempre, quasi per forza di legge fisica, chi va ad occuparlo: il presidente della Repubblica – in teoria rappresentante di tutta la Nazione, dai poteri formali se non notarili -, ha profittato della divaricazione irriducibile tra le forze politiche su tutti i temi e, invece di dare la parola al popolo (una tra le ragioni più tipiche per lo scioglimento del Parlamento), ha assunto arbitrariamente il comando del Paese. Ha nominato, infatti, un “suo” governo (definito tecnico sol perché composto da personale non politico, quindi irresponsabile), allo scopo dichiarato di salvare il Paese dal fallimento (default).

Ma Napolitano avrebbe dovuto sapere che governare l’economia di un Paese significa anche fare scelte politiche, che immancabilmente finiscono per coinvolgere e modificare assetti costituiti della sfera privata e pubblica (ad esempio il mercato del lavoro, ovvero i servizi pubblici, eccetera); significa ridurre la spesa pubblica con eliminazione totale o parziale di enti pubblici, servizi, eccetera: ecco che il governo tecnico così assume la fisionomia di governo politico, sebbene gestito da non politici: la qual cosa è contro la Costituzione, che non prevede governi tecnici. Gli effetti negativi di questa anomalia sono notevoli: senza ricorrere a termini drammatici (macelleria sociale) è certo che la politica del rigore (i compiti a casa) ha portato il Paese alla grave recessione, che è sotto gli occhi di tutti e, ahimè, sulla pelle di milioni di cittadini, i meno abbienti.

La verità, come è constatazione evidente, è che questo governo è stato voluto fortissimamente dalla Cancelliera tedesca, Angela Merkel, a garanzia della politica di rigore dalla stessa imposta nell’intero ambito europeo, politica che i nostri partiti non hanno voluto accollarsi direttamente.

Ora quei partiti navigano a vista, senza una bussola, ed hanno innalzato bandiera bianca: giustificano la loro condotta, traditrice delle volontà popolare, con il senso di responsabilità di fronte al pericolo di collasso dell’Italia, in realtà dissimulano la loro incapacità di far fronte alla crisi economica e, soprattutto, alla perdurante crisi del sistema politico, crisi che oramai dura da oltre trenta anni.

Adesso i partiti si stanno cimentando nella strategia delle alleanze, assente, però, un serio e credibile progetto capace di ridare vitalità al sistema: a sinistra si sta delineando un avvicinamento tra (sedicenti) progressisti e (sedicenti) cattolici moderati, senza nessun progetto chiaro da tutti condiviso, anzi nella confusione di opinioni: in sostanza è la riedizione di una alleanza tra forze del centrosinistra, tesa a vincere le elezioni del prossimo anno (a battere le destre, dicono). La novità sta nella persona che dovrebbe guidare questa coalizione: Monti (se ci starà) invece che Prodi (che ci starebbe), un professore di economia al posto di un commis dello Stato, che ne presti la faccia. Monti, non avendo i numeri per svolgere la funzione politica di capo del governo, secondo il ruolo prefigurato dall’art. 95 della Costituzione, così come non li aveva Romano Prodi, è destinato ad essere prigioniero delle varie e confliggenti componenti della coalizione (ammucchiata). Per altro, la capacità di un leader politico non sta solo nel mediare tra le forze della coalizione, ma anche nel mediare tra le pretese di queste e le esigenze dei governati, secondo le promesse elettorali.

A destra si cerca di riallacciare il rapporto Pdl-Lega (è pura illusione un solo partito col 51% dei voti, che tuttavia non consentirebbe di governare): di programma, però, neanche un accenno (salva la proposta del presidenzialismo, un po’ tardiva); verrebbe da dire, parafrasando una nota canzone di qualche anno addietro: ma dove vai se il progetto non ce l’hai?

In questa situazione, di estrema debolezza della classe politica e, quindi, della politica, il pallino è, ancora una volta, in mano a Napolitano; il quale, intanto, ha sentenziato che il tempo per le riforme è scaduto, salvo che per quella della legge elettorale e, quindi, ha invitato le forze politiche a dedicarsi solo a questa. In verità non è questione di tempo ma, come detto, del permanere della irriducibile contrapposizione tra destra e sinistra in ordine al tema delle riforme da attuare e, comunque, in ordine alle modalità alle quali sono da condizionare (ad esempio: il numero di parlamentari). Inoltre, ha esternato la sua contrarietà alla introduzione del presidenzialismo, in tal modo, per un verso, ha invaso il campo della politica e per altro verso, ha ignorato la contraria opinione della maggioranza degli italiani: la gente, non avendo più fiducia nei partiti, vuol contare di più, sia per quanto riguarda la scelta dei candidati al Parlamento, che per l’elezione popolare del capo dello Stato. Del resto, i comunisti sono stati sempre contrari alla modifica in senso presidenziale, modifica che scuoterebbe il sistema parlamentare, nel quale i comunisti la fanno da padrone.

Perciò il Pdl bene ha fatto a presentare la proposta, perché cosi diventa evidente chi è contrario, e per quale motivo, ad una riforma così essenziale per il rinnovamento dello Stato.

E’probabile che in questo scorcio di legislatura non si farà niente per la riforma istituzionale e che perciò la situazione peggiorerà: aumenterà l’assenteismo alla urne, soprattutto nei ranghi del centrodestra, con la facile previsione che la coalizione di centrosinistra, attrezzata meglio del centrodestra, potrebbe vincere le elezioni del 2013. Si ripeterebbe, così, la nomina a presidente della Repubblica di un uomo dello schieramento del centrosinistra, come avvenne nel 2006, vuoi lo stesso Napoletano, vuoi altro rappresentante della nomenclatura comunista.

Nulla di preoccupante se la nostra sinistra incarnasse il socialismo di marca europea, e quindi avesse la stessa base culturale quanto all’organizzazione dello Stato ed ai rapporti individuo-autorità: così purtroppo non è, perché la sinistra comunista, solo apparentemente ha accettato la democrazia borghese, in sostanza è ancora intinta nel socialismo reale.

Ne consegue la necessità per i liberali di difendere, sia pure obtorto collo, lo schieramento di centrodestra e di combattere l’antipolitica e l’assenteismo. Di qui la domanda: che fare?

Per superare la crisi del sistema è necessario il ritorno alla politica ed ai partiti, essenziali nel sistema democratico, però nella genuina versione costituzionale: un Monti bis non risolverebbe la critica situazione, anzi la peggiorerebbe, almeno nei tempi brevi. Un esperto di problemi economici, sia pure professore della prestigiosa università Bocconi, non diventa per decreto uno statista, che sarebbe invece necessario per la salvezza del’Italia.

A ben vedere la politica è chiamata ad affrontare problemi che riguardano le essenziali esigenze ed aspettative delle persone, che sono nell’ordine: la ripresa economica, la sicurezza, la giustizia, la sanità, la scuola ed in genere la cultura; per indicare solo i problemi più importanti. E’ compito dei partiti, rigenerati, assumersi la responsabilità della loro soluzione.

Secondo un antico detto primum vivere, deinde philosofari: premono, per prima, i problemi dell’economia, che impongono di combattere la recessione riattivando il circuito produttivo di ricchezza, pur nella esigenza di tenere sotto controllo il debito pubblico.

Io non m’intendo di questo settore, ma osservo che la nostra Costituzione ha previsto un organo ausiliario del Governo e del Parlamento – il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro Cnel – composto di esperti e di rappresentanti delle categorie produttive (art. 99 Cost.): c’era proprio bisogno del governo tecnico? C’era bisogno di violare la Costituzione?

Ugualmente necessario ed impellente è il problema della sicurezza, vale a dire della difesa dei cittadini e dei loro beni dall’attacco di una criminalità sempre più aggressiva. L’imperativo è: prevenire, sorvegliando capillarmente il territorio attraverso la polizia di sicurezza (che è cosa diversa dalla polizia giudiziaria, la cui funzione è solo quella di prendere notizia dei reati, ricercarne gli autori, assicurarne le prove). Oggi entrano in Italia, legalmente o clandestinamente, stranieri, comunitari ed extracomunitari, i quali, se non trovano onesto lavoro, vanno ad ingrossare le fila della criminalità, sia bagatellare che organizzata. Le cronache riportano quotidiani episodi di azioni criminali ad opera di pericolose bande che scorazzano liberamente sul nostro territorio, generando grande preoccupazioni tra i cittadini, se non proprio panico.

Né va omesso di considerare il problema dei costi e dell’efficienza del servizio nazionale della sanità. Non bisogna dimenticare che a norma dell’art. 32 della Costituzione la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite (ma solo per gli indigenti). Anche in questo importante settore c’è bisogno di intervento fattivo della politica per tagli alle spese e migliorare il servizio in modo di scongiurare la “malasanità” che è dato riscontrare quotidianamente.

Strettamente connessi ai temi (problemi) appena indicati c’è quello della giustizia che, come è noto, è ad un passo della bancarotta: una giustizia inefficiente e che funziona in modo anomalo incide negativamente sui diritti fondamentali dei cittadini ed anche sul sistema economico. Anni addietro il presidente degli industriali dichiarò che il sistema della giustizia italiana entrava nel calcolo, sia del se che del dove impiegare investimenti produttivi, tenendo specialmente in considerazione la inefficienza del contrasto alle strutture criminali, oltre che la lentezza delle procedure per la composizione dei conflitti economici.

Per altro l’assetto giudiziario italiano è anomalo anche sul piano costituzionale: non mi sono mai stancato di denunciare – purtroppo inascoltato (moderno Cassandra) – che la nostra magistratura è un potere autocratico all’interno delle istituzioni repubblicane, illimitatamente irresponsabile ed assolutamente incontrollabile; né mi sono stancato di denunciare il potere politico – tutta la classe politica, destra e sinistra – per la sua responsabilità in ordine alla crescita abnorme della burocrazia giudiziaria, che è diventata egemone tra le istituzioni, con danno per la corretta configurazione dei poteri dello Stato e, soprattutto, per i diritti civili e politici dei cittadini, esposti al potere arbitrario dei pubblici ministeri. Allora ben si comprende come il problema della giustizia si pone al centro – e ne costituisce aspetto preminente – dell’intero ordinamento giuridico e del sistema democratico.

Per altro il tema della giustizia è in stretta connessione, oltre che con quelli dell’economia, della sanità e della sicurezza, con il tema della corretta comunicazione, in un Paese che ha introitato la più raffinata arte della disinformazione e del lavaggio dei cervelli, di stile sovietico.

Non si tratta di introdurre una informazione di Stato (un liberale non oserebbe nemmeno pensarlo), né, tanto meno, di limitare la libertà di stampa ma, al contrario, di favorire la più ampia libertà della comunicazione tra i membri della collettività, ora anche attraverso il web, onde combattere il conformismo e favorire il risveglio culturale attorno a temi importanti, come quelli sopra detti e, comunque, intorno ai temi della tutela dei diritti dell’uomo.

Una forza politica che miri a recuperare il necessario consenso maggioritario del Paese deve quindi proporsi il vero ed effettivo cambiamento, in senso liberaldemocratico, del sistema politico e, pertanto, deve includere nell’agenda politica i suddetti problemi prioritari in modo concreto, quasi a stabilire un preciso patto con l’elettorato per ottenerne il consenso. Silvio Berlusconi è avvertito.

Ma – attenzione – siano messe al bando chiacchiere e promesse generiche, spesso fatte con riserva mentale: occorre invece indicare analiticamente problemi e soluzioni relative, tempi e modo di realizzazione, senza indulgere a pratiche compromissorie e, soprattutto, senza capitolare di fronte ai poteri forti ed a lobby varie, specie quella giudiziaria (la più pericolosa).

Si vedrà allora quanti sono disposti a lottare per i sacrosanti principi della democrazia e della civiltà, per una Italia finalmente moderna.

Soprattutto si ristabilirà la fiducia dei cittadini nelle Stato, nelle sue istituzioni e nei partiti.

Marsilio
Zona di frontiera, 16 Luglio 2012


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