PREMIATA PRIGIONE RIINA

È di oggi la notizia che nella montuosa manovra che sta per capitarci tra conto e portafogli dovrebbe comparire pure la privatizzazione delle prigioni. Si consentirà la costruzione di nuovi carceri e si affiderà la loro gestione ad imprese private, mentre lo stato pagherà la retta dei detenuti compresa di oneri costruttivi e di conduzione.

Un sistema di derivazione anglosassone che a tutt’oggi scatena numerose polemiche derivate principalmente dal fatto che il modello industrial-carcerario non è in grado di assicurare effettivo risparmio di denaro pubblico, miglioramento delle condizioni di vita ed efficaci programmi di riabilitazione per i detenuti.

Esistono, inoltre, interrogativi di ordine etico e di principio e altri di ordine peculiare, legati alla specificità del nostro Belpaese.

Ovvero se è concepibile alcuni servizi di carattere logistico possano essere esternalizzati, delle ampie perplessità si pongono per i compiti di vigilanza e custodia che, essendo molto delicati, dovrebbero rimanere di pubblica pertinenza. In genere tutto il comparto della giustizia dovrebbe ricadere sotto la diretta responsabilità nazionale, in ogni anello della catena. Ci sono dei compiti a cui uno Stato, proprio in quanto tale, non può abdicare.

Eppoi c’è la peculiarità nazionale che non possiamo far finta di ignorare. È di pochi giorni fa la notizia dell’arresto di Vincenzo Giglio, uno degli esponenti più in vista della corrente di Magistratura democratica. In qualità di presidente della sezione Misure di prevenzione del tribunale di Reggio Calabria, secondo l’accusa, avrebbe favorito delle ‘ndrine.

Negli anni ’70 la criminalità organizzata usava i rapimenti per finanziarsi, comperare mezzi e macchinari e fondare aziende per partecipare agli appalti pubblici. Infiltrazioni facilitate anche dalla possibilità di ricorrere a subappalti selvaggi, che hanno spesso consegnato i denari dello Stato direttamente nelle mani della mafia, camorra o dell’ndrangheta.

Non sarebbe nulla di strano se la criminalità organizzata riuscisse ad accaparrarsi la costruzione di qualche carcere, ma sarebbe una vera beffa se riuscisse pure a gestirle. Si dirà che verranno fatti ferrei controlli, ma ben sappiamo quanti pubblici appalti siano finiti nelle mani sbagliate, pur con tutti i certificati antimafia in regola. E la cosa non ci tranquillizza affatto.

Non vorremmo un giorno leggere su di un quotidiano che una struttura nata come carcere sia divenuta un residence a 5 stelle con jacuzzi, piscina e palestra ad uso e consumo di qualche boss. A spese nostre, come sempre.

Paolo Visnoviz
Zona di frontiera, 3 Dicembre 2011


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