TARADASH: «MAGISTRATURA METTE ITALIA FUORI DAL MONDO MODERNO»

Marco Taradash risponde sul tema dello stato della giustizia italiana dall’epoca dal referendum del 1987 ad oggi.

Nel 1987 militava con i Radicali di Pannella e proponeste un referendum sulla responsabilità civile per i magistrati. Referendum vinto e disatteso. A distanza di 24 anni qual’è la situazione oggi?
Se possibile le cose sono pure peggiorate. Quel referendum nacque sull’onda del processo a Tortora e di tutte le violazioni di legge conseguenti al comportamento dei magistrati napoletani. Tentarono di costruire un mostro di livello nazionale e internazionale, che consentisse di mettere in bella luce le straordinarie gesta dei magistrati partenopei. Alla fine il castello accusatorio crollò miseramente, lasciando fortemente indignati tutti gli italiani. Il referendum trionfò, purtroppo le pressioni della magistratura sul governo di allora – ed era un governo Craxi, che pur aveva promosso col Psi il referendum – fecero sì che la responsabilità civile dei magistrati venisse trasferita allo Stato. Sarebbe stato il Csm che avrebbe eventualmente sanzionato i giudici. In realtà dal 1987 ad oggi abbiamo visto i giudici che vengono imputati passare da una serie infinita di valutazioni, giudizi, appelli, ricorsi, ecc., tanto che alla fine saranno forse i loro nipoti a dover pagare qualcosa, se riconosciuti colpevoli. Una situazione di tutta tranquillità, quindi, non solo per i magistrati che operano entro i confini della legge – e sono la maggioranza -, ma anche per quelli che agiscono abitualmente ai margini della legge, una minoranza certa che non patirà conseguenza alcuna.

Enzo Tortora gridò ai giudici napoletani: «Io grido: “Sono innocente”. Lo grido da tre anni, lo gridano le carte, lo gridano i fatti che sono emersi da questo dibattimento! Io sono innocente, spero dal profondo del cuore che lo siate anche voi.» Il tempo diede ragione a Tortora, ma quei magistrati fecero comunque carriera.
Quei magistrati divennero membri del Csm, Procuratori Generali, Presidenti di Tribunale. Non solo non pagarono per i loro errori, ma non ebbero alcun intralcio alle loro carriere che continuarono indisturbate, procedendo come di consuetudine: per anzianità o, ai livelli superiori, per clientela.

Il Csm, nato come organo di controllo e di governo della magistratura, in realtà sembra essere divenuto un apparato politico.
Il Csm è composto da magistrati requirenti e da giudicanti, cioè da figure terze che dovrebbero essere equidistanti dalle parti dell’accusa e della difesa. Il fatto che esista un unico Csm, con i condizionamenti che ciò può creare rispetto alle carriere, fa sì che il peso dei magistrati requirenti sia preponderante rispetto a quelli giudicanti. Oltretutto fino a poco tempo fa era possibile passare facilmente da un ruolo all’altro. Oggi è più difficile, ma non è stato smontato completamente quel meccanismo di convivenza – e a volte di connivenza – che permette ad una parte della magistratura di assumere un potere che esula completamente da quello che dovrebbe essere il servizio svolto dalla giustizia. Bisogna rivedere l’intero meccanismo, in primo luogo separando le carriere, affinché ai cittadini venga garantito che l’avvocato che li difende e il procuratore che li accusa siano in una posizione di parità rispetto a chi li deve giudicare. Credo che questo sia il primo necessario passo per restituire la fiducia nella giustizia da parte dei cittadini. Di conseguenza pure il Csm dovrà seguire la stessa logica, separandosi in due organi distinti, uno per i magistrati requirenti e uno per quelli giudicanti, rientrando nell’alveo costituzionale e perdendo quel ruolo politico che ha progressivamente assunto. Oggi non c’è legge in discussione in Parlamento che non debba subire il vaglio preventivo del Csm che, se lo ritiene opportuno, implacabilmente stronca. Questo perché i magistrati stanno benissimo in questo sistema che offre loro ogni sorta di privilegio.

Ha fatto scalpore la partecipazione del procuratore Antonio Ingroia al congresso del Pdci. Cosa ne pensa?
È cosa grave che un magistrato vada ad un congresso di un partito, ancora più grave sia andato ad un congresso di un partito che ha per simbolo la falce e il martello. Intendiamoci, sotto questo profilo sarebbe stato identico se si fosse presentato ad un congresso di un partito di estrema destra, ma in quel caso ci sarebbe stata una sollevazione mediatica. Se un magistrato vuole fare politica si spogli di tutte le prerogative e dei benefici derivanti della sua carica. Si chiede, a gran voce e da più parti, che la politica sia sobria, ma allora la magistratura dove esserlo all’ennesima potenza. Da magistrati non si può essere partigiani. Il livello di civiltà di un Paese, si misura dalle proprie carceri e dal sistema giudiziario. Con questo metro, data la drammaticità della nostra situazione, l’Italia si colloca al di fuori del mondo moderno.

Massimo Martini
Zona di frontiera, 13 Dicembre 2011


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