MACERIE

Stringiamoci a coorte siam pronti alla morte…

Non li troveranno. Le stragi senza colpevoli sono consuetudine in Italia; quando non si prenda a caso un capro espiatorio da sbattere in prima pagina e in tribunale. Non li troveranno perché una nazione che non è più Patria non sa dare un senso alle cose, sa soltanto applaudire ai funerali, come se morire fosse diventato il solo gesto da ammirare, sinistra passerella finale per destini perduti: terrorismo non solo agghiacciante, ma inutile. “Vile, tu uccidi un uomo morto”. Si può sorridere della Francia pomposa e celebrativa, tuttavia quando il terrorista Merat è entrato quella mattina nella scuola ebrea ed ha ammazzato senza pietà creature e professore, la forza di una nazione unita e determinata si sprigionava perfino dalle immagini che arrivavano nello schermo in un’atmosfera sospesa. Toulouse ed il popolo francese tutto, erano  in guerra contro l’assassino. La vita  a mezz’asta, ma pronta a colpire, il coprifuoco, l’accerchiamento, e “il Presidente”  Sarkozy. Nulla di ridicolo, di fuori luogo, nel suo incedere deciso.  Lui, la Francia e insieme tutti gli altri, nessuno escluso. Nessuna conferenza stampa, nessun clamore mediatico: il ratto, i ratti, vanno catturati in silenzio, il rumore potrebbe farli fuggire. Nessuna dietrologia: le cause di quel gesto resteranno ignote ai più, ma non importa: quello che conta è che lo Stato difenda i suoi figli dal pericolo senza troppe storie. La libertà di stampa, il protagonismo, perfino un certo garantismo peloso a senso unico, possono aspettare. Quello che conta è che la Patria vinca contro il male.

Invece noi, incollati al televisore con il computer davanti, un disgusto amaro davanti al pot-pourri delle immagini che si susseguono. Politici che cantano vittoria e stupidaggini, chiese crollate in diretta con il cronista che urla “guardate! un’altra scossa!”, un uomo qualunque ripreso dalle telecamere e sbattuto in prima pagina, potenziale linciabile, ed un altro uomo, che stringe piangendo al petto la foto della sua bambina: bella bellissima, come sono le nostre figlie, nell’età dell’innocenza.

le macerie evocano  rotture più profonde, le crepe dell’unico, che ciascuno cerca, e ben si adattano alle nostre anime lacerate; i pezzi della nostra storia in briciole, facile preda degli sciacalli alla moda che altro non aspettano che cancellarne perfino il ricordo ed arricchirsi con altre brutture. Cosa siamo diventati se non siamo capaci di difendere il futuro – i bambini – ed il passato che è la nostra identità?

Certo, ognuno di noi è colpevole della dissoluzione etica ed estetica della nostra Madre terra, ma meritiamo davvero di soccombere ai cattivi maestri, che pure abbiamo allevato e incensato con troppa disinvoltura? Da solo ogni Italiano ha un cuore, dei sogni, ed una umanità tutta speciale che lo rende simpatico e stimato fuori dei suoi confini o nella piccola cerchia d’un borghetto o d’un condominio. Il male è nel branco che assai impropriamente si chiama società. Perché sessant’anni di damnatio memoriae hanno sepolto sotto l’ideologia lo scrigno dei valori fondanti di una civilizzazione. Restano dentro  di noi, se in solitudine ci viene da piangere su uno zainetto bruciato, se il campanile che crolla fa risuonare nel cuore una campana a morto o se pensiamo alla nostra infanzia, quando Fratelli d’Italia non era l’inno della nazionale di calcio, ma della Patria sconfitta in cui tutti, guardandosi negli occhi, stringevano i denti e lottavano perché tornasse a vivere. “Tu fior della mia pianta, percossa e inaridita, tu dell’inutil vita estremo e unico fior….” Le lacrime delle madri – troppe, e per diverse ragioni versate – non  bastano ad innaffiare un seme di poesia e di giustizia su questa terra “negra” dove il sole sembra non riscaldare più?

Patrioti! Guardatevi  intorno: ci sono  uomini e donne in ogni angolo del mondo che versano ogni giorno un tributo di sangue per conquistare una casa comune che li renda un popolo. E noi, che un popolo siamo stati, anche prima che l’Italia fosse, noi per cultura, noi per arte, noi per carattere, siamo davvero troppo rassegnati o troppo cinici per non riprendere in mano, con orgoglio il nostro destino?

Non clientes, mai più, ma solo civites. Perché il prezzo della clientela è troppo alto, adesso. Una licenza edilizia, un favore, un postarello dietro una scrivania non valgono il silenzio-assenso che lascia ogni arbitrio allo stravolgimento delle regole, all’indottrinamento, alla falsa democrazia, all’ingiustizia elevata a sistema. Ci comprano per un telefonino d’avanguardia come in ogni regime che si rispetti. Basta. Non vogliono la responsabilità civile dei giudici? Ebbene, scendiamo in piazza, dieci, cento, mille banchetti, raccogliamo le firme, facciamo sentir loro il fiato caldo della nostra esasperazione. La ricostruzione? facciamola noi, come fu per Firenze alluvionata, non lasciamola ai ducetti ciucci della cultura conformista ai furbetti, furbastri e furboni senza coscienza. Basta taglieggiare chi lavora e premiare chi specula; le tasse servono per darci dei servizi, chiaro? Riprendiamoci la politica, la poesia, la Patria, torniamo ad essere quelli di Don Camillo e Peppone, noi, non quelli che  hanno ancora la faccia di bronzo di addottrinarci nello schermo con il loro nulla. Basta.

Populismo? ebbene si! populismo sia, e con fierezza.

Angela Piscitelli
Zona di frontiera, 30 Maggio 2012


Un commento a “MACERIE”

  1. Populismo ? No, questo è quanto il popolo giustamente s´aspetta e per cui vale certamente la pena battersi !


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